Una cinquantina di nomine senatoriali bloccate in una quindicina d’anni per mancati accordi in sede locale. La campagna elettorale per il senato condotta scrivendo ai membri dell’assemblea locale, senza passare per il popolo. Italia 2015, dopo la riforma elettorale? No, USA 1912, prima dell’approvazione del XVII emendamento, che impose l’elezione diretta dei senatori in precedenza scelti dalle assemblee degli stati.
Il dibattito sulle liste bloccate alla Camera dell’accordo Renzi-Berlusconi ha fatto passare in secondo piano l’abolizione completa del diritto di scegliere i membri del Senato. Non è neppure chiaro se il futuro “Senato delle autonomie” sarà composto dai sindaci delle grandi città (come Renzi ha detto in più occasioni) o sarà eletto dai consigli regionali (come hanno proposto altri).
Cent’anni fa gli Stati Uniti fecero il percorso contrario. La Costituzione del 1789 assegnava a ogni stato due senatori “scelti dalla legislatura dello stesso” (art. I, sez. 3). Nel 1913 il XVII emendamento modificò radicalmente il sistema. Ferma restando l’uguale rappresentanza degli stati grandi e piccoli, si decise che i senatori sarebbero stati “eletti dal loro popolo”, con il diritto di voto “richiesto per gli elettori della camera più numerosa della legislatura di quello stato”. Come l’introduzione delle imposte federali sul reddito (XVI emendamento), il cambiamento veniva incontro alle istanze di democratizzazione del movimento progressista.
Come scrive Akhil Reed Amar, professore di diritto costituzionale a Yale, l’elezione diretta dei senatori fu molto importante. “Liberati da ogni dipendenza dai governi statali, i senatori eletti direttamente furono più liberi di seguire politiche potenzialmente sgradite ai funzionari statali. Nel campo dei diritti costituzionali, i senatori a elezione diretta furono in genere più disposti a denunciare e correggere le malefatte dei funzionari pubblici degli stati. In altri contesti regolatori, il governo federale si mostrò più incline a contrastare le leggi degli stati e persino a imporre obblighi ai governi degli stati”.
La storia non si ripete, ma sarebbe sciocco ignorare il precedente. In una occasione, l’assemblea parlamentare del Delaware non riuscì per due anni a trovare un accordo che le consentisse di eleggere un senatore. Nel 1854 Lincoln si ritirò a metà della corsa per evitare al partito Whig dell’Illinois di prendere posizione sullo schiavismo.
I limiti riscontrati nell’applicazione dell’affrettata riforma del Titolo V della Costituzione italiana del 2001 dovrebbero indurre a studiare il precedente USA con attenzione. Dalle note spese del consiglio regionale della Liguria a quello della Lombardia, dal consigliere regionale del Lazio Franco Fiorito a quelli della Lombardia (Riccardo Bossi o Nicole Minetti non fa differenza), le cronache recenti suggeriscono seri dubbi sulla qualità dei futuri senatori delle autonomie. Ignorarli oggi per scoprirli domani sarebbe un ipocrita piangere sul latte versato.