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Il nemico porta-a-porta con diritto d’oblio

Il Tar del Lazio rifà i conti delle sanzioni comminate dall’Antitrust alla Federico Motta Editore (Fme). Accusa l’Autorità garante della concorrenza di aver calcato eccessivamente la mano sulla società editrice e distributrice di enciclopedie porta a porta. Ma conferma la «sussistenza della pratica commerciale scorretta»: una serie di comportamenti degli agenti Fme al limite della fiction, che, nell’ottobre del 2011, finirono addirittura in Tv grazie alla trasmissione “Striscia la notizia”. La storia, in quanto ritenuta emblematica di quali limiti etici possa superare una strategia di marketing estremamente aggressiva, è stata raccontata da ETicaNews, attingendo alle ricostruzioni del provvedimento Antitrust dell’agosto 2012, nell’articolo “Se il nemico bussa porta a porta”. Adesso, la questione assume connotati significativi anche dal punto di vista della professione e della deontologia giornalistica: per quell’articolo, inattaccabile dal punto di vista della veridicità, la Fme ha chiesto l’applicazione del “diritto all’oblio” (si veda il contributo dell’avvocato Alessandra Fossati: “Il diritto all’oblio che riscrive le storie”). Pur riconoscendo la correttezza della ricostruzione di ET., l’azienda ha fatto presente il proprio diritto a che non “sopravvivano” nella rete (cosa diversa dall’archivio del giornale), ossia nei motori di ricerca, articoli incompleti (in questo caso, privi della sentenza di appello al Tar) e tali da poter recare un danno alla propria immagine.

UNA STORIA DA RILEGGERE

Per le spericolate vendite “porta a porta” di alcuni suoi agenti, nella delibera dell’agosto 2012, la Fme venne condannata dall’Antitrust al pagamento di 100mila euro di multa, oltre alla pubblicazione di un estratto del provvedimento su la Repubblica e il Corriere della sera. Fu condannata anche per un secondo procedimento, per cui la Fme è stata assolta in appello, ma non riguardava l’attività porta a porta, perciò quell’aspetto non è stato considerato nel primo articolo di ET., né lo sarà in questo.

Nel 2012, l’Authority della concorrenza, nel quantificare la sua multa, utilizzò parole molto dure: «Con riguardo alla gravità della violazione, si tiene conto nella fattispecie in esame della dimensione economica del professionista e della notorietà del marchio nel settore dell’editoria, dell’elevata diffusione della pratica, posta in essere su scala nazionale, e penetrazione della stessa, in quanto realizzata attraverso un metodo di vendita invasivo, quale principalmente la visita a domicilio, anche non preannunciata, e mediante l’indebito condizionamento sia nella promozione del prodotto che nell’esecuzione del contratto, nonché il fatto di aver raggiunto anche un target debole di consumatori».

La sentenza del Tar, depositata in segreteria il 15 ottobre 2013, non usa parole più leggere. «Pare al Collegio – si legge nel dispositivo – senz’altro dimostrato come alcuni agenti Motta abbiano utilizzato tecniche di vendita riprovevoli, spesso prossime a veri e propri raggiri, facendo in particolare credere che il bene ceduto (opere editoriali in più volumi, integrate o meno da supporti multimediali, informatici e di rete) avrebbe potuto essere rivenduto, dopo qualche tempo, con profitto alla Motta ovvero a terzi: in sostanza presentando come un sicuro investimento quello che era affatto semplicemente l’acquisto di un bene improduttivo, utile o soltanto godibile. Comunque, se anche non sono giunti alla frode espressa, i venditori, incuranti tanto delle vigenti norme di tutela dei consumatori, quanto delle più elementari regole di correttezza (civile, prima che commerciale) hanno adottato condotte aggressive ed invasive per ottenere, anche profittando di consumatori deboli, per età avanzata o altro, la stipula del contratto e le proprie provvigioni (spesso modeste, sì da comporre un quadro complessivamente penoso)».

IL RUOLO DELL’AZIENDA

Il punto cruciale è quanto l’azienda fosse o meno responsabile di ciò che combinavano i suoi venditori. E, anche qui, il Tribunale amministrativo non risparmia le critiche: «La Motta, in realtà, per molto tempo non pare aver svolto la debita sorveglianza sulle condotte dei propri agenti, a parte qualche occasionale rabbuffo, e la diffusione di circolari d’incerta osservanza: si ha l’impressione, anzi, che il numero di contratti comunque stipulati fosse il dato assolutamente assorbente per valutare i meriti dei propri venditori». Come a dire, il fine giustificava i mezzi.

Tuttavia, il Tar prende le distanze rispetto alle decisioni dell’Antitrust in merito all’incidenza delle pratiche scorrette, e alla convinzione che la Fme avesse deliberatamente creato un sistema di diniego del recesso.

«In effetti – si legge nella sentenza -, viste le difese proposte, pare al Collegio che l’Autorità abbia ecceduto, nel valutare la dimensione del fenomeno. Anzitutto, quanto all’asserita diffusione della pratica, Motta espone di aver concluso nel 2011 circa 3.800 contratti, dei quali se ne sono consolidati circa 3.200, essendo nei residui casi intervenuto o il recesso in termini da parte del cliente o il rifiuto, da parte di Motta, di rendere definitivo il rapporto contrattuale, a causa della negativa valutazione del cliente sul fronte finanziario: dei contratti perfezionati solo in una settantina di casi sono state segnalate presunte condotte scorrette degli agenti; un dato che l’Autorità non contesta nelle sue difese e che equivale al una percentuale del 2% circa».

Il Tar poi calca ancor più la mano sull’Antitrust, in termine di obiettività nella selezione delle prove. «Nulla permette di affermare – scrivono i giudici amministrativi – che, in tutti i casi considerati, il cliente abbia realmente subito una pratica commerciale ingannevole o aggressiva, o non abbia piuttosto, dopo essersi volontariamente gravato dell’onere economico in questione, cercato di sottrarsene, quando ormai i termini per esercitare lo ius poenitendi erano largamente scaduti, magari amplificando (anche a seguito del noto servizio televisivo) i termini delle pressioni a suo tempo subite per stipulare il contratto».

In conclusione, anche per il fatto che secondo il Tar «tutto ciò è sicuramente cambiato dal momento in cui certe disinvolte tecniche di promozione sono state denunciate, nel 2011», occorre ricalibrare la pena. «Anche tenuto conto – conclude il Tribunale amministrativo – che gli episodi realmente documentati e ragionevolmente credibili, non superano la ventina (quindi assai meno di quelli che l’Autorità sembra ritenere rilevanti) e sono altresì riferibili ad un numero limitato di agenti, appare ragionevole dimezzare la sanzione irrogata per la condotta sub A. pur confermando la sussistenza della pratica commerciale scorretta».  Annullata poi la sanzione accessoria della pubblicazione sui quotidiani.

LA VOGLIA DI OBLIO

Sebbene in presenza di una frase conclusiva («pur confermando la sussistenza della pratica commerciale scorretta») eloquente nel dare il senso dell’intera vicenda, con la sentenza la Fme alleggerisce la propria posizione sotto alcuni profili. E, in ogni caso, il Tar completa un quadro di indagini e pronunciamenti che non si era fermato alla sola sentenza dall’Antitrust. Da qui la richiesta fatta da Fme in merito al diritto all’oblio per l’articolo pubblicato su ET. nell’ottobre 2012.

La questione del rispetto del diritto all’oblio da parte dei giornali online sarà un fattore dirompente per l’etica e la deontologia, ma anche per l’operatività redazionale (si pensi a quante sentenze non definitive generano articoli che andranno poi “dimenticati”). Ed è senza dubbio ancora una questione aperta, nell’equilibrio con il diritto di cronaca e di archivio, e nelle modalità di messa in atto. Ancor più, come nella questione posta a ETicaNews, in casi in cui la richiesta di rispettare il diritto all’oblio riguarda un articolo inoppugnabile, con una data precisa a sostenerne l’inoppugnabilità.

Ebbene, anche in quell’articolo tecnicamente inattaccabile, ET. ritiene corretto – in ossequio alle richieste di Fme, e nell’ottica di fornire un quadro completo dell’informazione – inserire in nota, segnalata all’interno del testo, l’esistenza di un seguito a quanto riportato.

Non è un dimenticare “il nemico che bussava porta a porta”. È un ricordarlo meglio.


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