Pubblichiamo l’editoriale di Rocco Palombella, segretario della Uilm, che comparirà martedì prossimo sulla rivista on line Fabbrica società
Ci si rivede in sede ministeriale il 17 febbraio. Quelli dell’Electrolux possono pure continuare a far finta di non essersene accorti, ma per quella data dovranno presentarsi al dicastero dello Sviluppo economico con un piano industriale relativo a tutti e quattro gli stabilimenti del gruppo elettrodomestico. Altro che riduzione degli organici, del costo del lavoro e chiusura dello stabilimento di Porcia in Friuli Venezia Giulia; ci vuole un piano vero e proprio, senza ambiguità, ritrattazioni e cifre incomprensibili.
Non ci sono altre vie d’uscita per la multinazionale svedese in Italia: è così che dovrà presentarsi al confronto fissato tra le parti, con le carte in ordine e senza alcuna possibilità di fuga dall’Italia verso l’Est europeo. L’esito di cui stiamo scrivendo è una vittoria parziale, perché la strada per vincere la battaglia finale è ancora lunga. A tal fine continuerà la mobilitazione negli stabilimenti di Susegana, Porcia, Forlì e Solaro. Non sarà possibile alcuna trattativa diretta tra sindacato metalmeccanico ed azienda, dato che l’unico tavolo legittimato è quello aperto al momento presso il dicastero di via Molise, anche se non escludiamo, nel corso della vertenza in questione, di approdare direttamente a Palazzo Chigi.
Per come si erano succeduti gli eventi, possiamo affermare che abbiamo ribaltato l’agenda che Electrolux ha cercato di imporre in modo diretto ed indiretto ad istituzioni e ad opinione pubblica. Nel primo caso anche con comunicazioni ufficiali rivolte alle organizzazioni sindacali con argomentazioni parziali, ma comunque non condivisibili. Nel secondo, invece, con una vera e propria operazione di “marketing politico” avanzata da commentatori economici sulle mirabolanti potenzialità di relazioni industriali costruite in periferia.
In questo senso, va collocato il documento presentato dall’Unindustria di Pordenone alle confederazioni e categorie sull’importanza della riduzione del costo del lavoro in Italia per reggere la competizione con i mercati esteri e per non riparare in altre realtà produttive del medesimo continente. Un testo, quindi, pubblicizzato ai quattro venti, insieme al nome dei due saggi giuslavoristi che hanno contribuito a redigerlo per nome e conto dell’azienda, cioè gli ex parlamentari Tiziano Treu e Maurizio Castro.
Nulla da eccepire sulle loro argomentazioni riformiste, ma molto da contestare nello specifico spazio a cui le stesse idee si sarebbero dovute applicare. Siamo stati i primi a rompere il gioco di persuasione pubblica che Electrolux stava mettendo in piedi. Lo abbiamo fatto con un’affermazione semplice: non si possono affamare i lavoratori e poi chiedere loro di chiudere il posto dove lavorano. Il gruppo in questione in Italia conta sugli stabilimenti di Susegana (Treviso; 900 addetti che producono frigoriferi e congelatori da incasso), di Porcia (Pordenone; 1.100 addetti, produzione di lavabiancheria), di Forlì (dove si producono piani cottura e forni e sono occupate 900 unità), di Solaro (Milano, con 800 unità e produzione di lavastoviglie). Ci sono, poi, 60 addetti nel magazzino di Maniago in provincia di Pordenone e 800 addetti, definiti ‘Professional’ nella medesima provincia; 1.200 lavoratori appartenenti allo “Staff” del gruppo.
Dal 2008 ad oggi Electrolux ha compiuto cinque riorganizzazioni scendendo dai 7.472 dipendenti dell’intera divisione elettrodomestici ai 4.700 attuali. Occorre ricordare che in questo lustro è stato chiuso l’intero sito di Scandicci in Toscana che contava su 408 dipendenti. Insomma, in questo arco temporale i lavoratori occupati solo nelle fabbriche dell’elettrodomestico sono scesi dai 5.800 del 2008 ai 3.500 di oggi. Ed in questo contesto l’azienda cosa fa? Rilancia e chiede altri 670 esuberi nelle fabbriche, prospettando di fatto la chiusura del sito di Porcia.
Ha ammesso preoccupato Roberto Zaami, nostro segretario a Pordenone: “Se si lasciano mani libere all’azienda, in questa provincia si registrerà un’involuzione simile alla realtà esistente nel dopoguerra: tra lavoratori diretti e quelli dell’indotto collegato la disoccupazione conteggerà almeno 6.000 nuove unità. Questa è la desertificazione totale, non solo industriale”. Ha ragione. Ma il ‘management’ della multinazionale è andato oltre. Come abbiamo accennato in apertura, non solo esuberi e chiusure, ma ha chiesto drastiche riduzione di stipendio.
Abbiamo compiuto una simulazione su base annua sul taglio del costo del lavoro avanzata da Electrolux su un lavoratore di quarto livello. C’è da mettersi le mani nei capelli per l’assurdità della proposta, davvero lesiva per chi lavora. L’elenco delle sforbiciate è lungo: taglio della voce di salario aziendale ‘STB’, pari normalmente a 1.147 euro annui (78 euro mensili per 12 mensilità, più saldo annuale); taglio della voce di salario aziendale ‘PRF’, pari normalmente a 416 euro annuali; taglio della voce di salario aziendale ‘EDP’, pari a 78 euro mensili su 12 mensilità; taglio progressivo in tre anni del ‘Pro.re’, cioè 129,48 per 12 mensilità, per “neutralizzare” gli aumenti di anzianità e del Contratto nazionale; taglio delle ore di assemblea sindacale del 25% e dei permessi sindacali del 50%; taglio dell’orario di lavoro a 6 ore al giorno (30 settimanali) anziché 8 (40 settimanali), che porterebbero ad una riduzione del 28% (25% di riduzione per “riproporzionamento”, più la perdita delle maggiorazioni per le quattro ore finali del pomeriggio, che ricadono nel “primo notturno”, maggiorate al 20%; taglio del pagamento delle festività cadenti di sabato e domenica che corrispondono a circa 66,66 euro per la media di 3 festività annuali.
Il montante ottenuto, quindi, sommato e diviso per 12 mensilità porta a una perdita di 355 euro che, su un salario mensile di poco meno di 2.000 euro lorde (di un operaio che lavora sempre, senza cassa integrazione, ne’ straordinari), significa un meno 18%. Con la riduzione di orario, ci sarebbero altri 460 lordi mensili in meno, cioè un meno 28% dello stipendio già decurtato dalle precedenti misure.
Ecco perché la proposta di Unindustria di Pordenone in prima battuta, relativa al contratto d’impresa, e poi, quella della stessa Electrolux, avanzata subito dopo, non possono portare da nessuna parte: entrambe poggiano su una politica di tagli inservibile a rendere competitiva la realtà elettrodomestica nostrana.
Il gioco che ha posto in essere l’azienda, ipotizzando la competitività che acquisirebbe spostando le produzioni su un proprio stabilimento gemello in Polonia, innesterebbe una spirale pericolosa da cui l’industria italiana non uscirebbe più. Ci ha fatto piacere che alla fine questo dato sia stato colto il 29 gennaio da tutte le parti sedute al tavolo del secondo piano del dicastero romano in via Molise. Il “management” dell’Electrolux è rimasto politicamente isolato. Sono, quindi, irrispettose le parole pronunciate dall’ad del gruppo in Europa, Ernesto Ferrario, al termine dell’incontro in questione, quando ha sussurrato placidamente: “Andremo avanti sull’analisi del costo del lavoro e sulla sua riduzione, molto tranquillamente”. Di tranquillità, purtroppo, non ce n’è per nessuno. E lo hanno ricordato proprio le parti con cui l’azienda si è dovuta confrontare. “La proposta di Electrolux non ci ha convinto” ha affermato il ministro Flavio Zanonato. “D’ora in poi si discuterà del piano industriale e dei futuri investimenti” ha detto il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. “Piano strategico e le produzioni industriali in Italia verranno affrontate tutte insieme e la discussione avverrà partendo non dal costo del lavoro ma dalla strategia che l’industria ci presenterà” ha commentato il Presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani. ”Siamo pronti a fare la nostra parte per sostenere la presenza di Electrolux in Lombardia e nel Paese, in piena collaborazione con tutte le istituzioni e le parti sociali” ha dichiarato l’assessore della Regione Lombardia al Lavoro, Valentina Aprea. “Abbiamo trovato irricevibile un piano industriale che riguarda tre stabilimenti su quattro: su questo siamo tutti d’accordo e lo considero un risultato positivo. Non vogliamo parlare di costo del lavoro ma di marchi, di piani industriali e di investimenti. La compattezza dimostrata dal Governo e dalle Regioni è stata certamente importante per chiarire all’azienda le questioni fondamentali, e noi ci impegniamo affinchè questa posizione non sia messa in discussione”. Ha affermato la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani. Un fronte comune che Francesco Sanna, consigliere politico del Premier Enrico Letta, presente all’incontro ministeriale, ha annotato nella relazione per il Presidente del Consiglio impegnato quel pomeriggio a Bruxelles.
Sottolineamo l’importanza di questa presenza al tavolo del Mise, perché a nostro giudizio il coinvolgimento in prima persona del Capo dell’esecutivo in questa vicenda rimane necessaria. Il “manager” Ferrario potrà pure ostentare tranquillità, ma è ormai chiaro che di ridurre lavoro e salario proprio non se ne parla.
E’ l’esperienza continentale ad insegnarcelo. Fare il confronto con esperienze di questo tipo in Europa non regge, perchè, per esempio, come nel caso Wolkswagen in Germania, riguardano realtà con retribuzioni molto più alte rispetto a quelle italiche. Qui da noi i salari sono talmente bassi che le decurtazioni previste non permetterebbero di vivere.
Se fossi stato al posto di quell’Ad la parola tranquillità, almeno per un minimo senso del pudore, non l’avrei proprio usata. Ci vuole una certa “faccia tosta” a proporre piattaforme senza lasciar intravedere contropartite. La prospettiva di un lavoro che affama e che poi finisce non può allettare nessuno. Non funziona in Italia e non funzionerà tra un po’ di tempo nemmeno in Polonia. Di questo il “tranquillo” Ferrario può star certo. Attendiamo, quindi, di conoscere il piano industriale di Electrolux, specifico e dettagliato nei contenuti, per tutti i siti del gruppo all’interno del perimetro nazionale.
Rocco Palombella
Segretario generale della Uilm