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La grande ipocrisia sul caso Monti

Da alcuni giorni il mondo politico italiano sembra sospeso. La ragione principale è dovuta alla fibrillazione del governo a causa del difficile rapporto tra Matteo Renzi ed Enrico Letta. Come ho segnalato già in un articolo precedente, non si tratta per nulla di una divergenza di facciata, ma di una diversa modalità sostanziale d’intendere le riforme e il buon uso del poco tempo che l’Italia ha disposizione nel prossimo futuro.

Da qualche ora, tuttavia, un nuovo scandalo sembra essere improvvisamente affiorato. Mi riferisco alla polemica sulle dimissioni di Silvio Berlusconi del 2011. Le rivelazioni del giornalista Alan Friedman riguarderebbero contatti che il capo dello Stato avrebbe cominciato a prendere già nell’estate di quell’anno per valutare la possibilità di una sostituzione in corsa del Cav. con il presidente della Bocconi. Fatto inesorabilmente avvenuto qualche mese dopo.

Ovviamente, da ogni parte si è gridato allo scandalo. In effetti, sebbene, come ha notato Carlo Azeglio Ciampi, non c’è nessuna legge che vieti a un presidente della Repubblica di avere incontri privati, qui si è trattato di qualcosa di molto diverso. Napolitano sembra essere stato più che sensibile alle pressioni estere, specialmente quelle provenienti dall’Europa. E, addirittura, fin dal mese di agosto avrebbe lavorato per creare un’alternativa alla scelta democratica del popolo italiano.

Un tema delicato. E’ importante essere perciò molto equilibrati nella valutazione. Non ci sono ragioni, d’altronde, per pensare che Napolitano abbia agito contro il Paese, così come non ci sono ragioni di dubitare della buona fede nelle buone intenzioni di nessuno. Nel caso in questione siamo cioè davanti a una discutibile iniziativa di Napolitano che, nonostante tutto, non è perseguibile e non può giustificare alcuna richiesta d’impeachment. Ciò nondimeno, muoversi però con tanto attivismo non è assolutamente corrispondente alle prerogative costituzionali assegnate al presidente della Repubblica.

Sarà una sensibilità mia tutta personale, ma io resto legato all’idea che in una Repubblica parlamentare il capo dello Stato è bravo quando si limita a occuparsi il meno possibile delle dinamiche interne alla politica ed esclusivamente a quelle procedurali. Se questo non sta bene, allora si deve passare a una forma presidenziale di Repubblica che la sinistra stessa, e Napolitano in primis, hanno sempre rifiutato categoricamente. Non ci sono, infatti, giustificazioni morali o economiche che possano avallare e legittimare la convenienza di un tentativo di alterazione del risultato elettorale, né di tipo nazionale, né, ancor meno, internazionale.

In fondo, quello che appare inaccettabile nell’azione del Quirinale, pur nell’ineccepibilità formale della condotta personale del presidente, è il medesimo atteggiamento discutibile che fu tenuto da Oscar Luigi Scalfaro nel 1994. Vale a dire, un presidente che opera dall’alto per esautorare un primo ministro che ha avuto un mandato parlamentare e popolare dal basso. Anzi, atti del genere sono, ad avviso di chi scrive, molto più deplorevoli di quelli di un presidente che crea un governo in assenza di alternative, come avvenne nel caso di Ferdinando Tambroni che fu messo a Palazzo Chigi da Gronchi nel 1960, in modo scarsamente democratico, dopo la scissione del gruppo dirigente democristiano. Quello che voglio dire, in fin dei conti, è che davanti a una crisi politica, un presidente deve trovare una soluzione. Ma, davanti a delle pressioni esterne, soprattutto se opinabili, non è compito del presidente prendere le redini del Paese anche solo per un nobile senso dello Stato.

Dopodiché, resta la grande ipocrisia che sta aleggiando dietro le cosiddette rivelazioni giornalistiche. Ma quali rivelazioni? Tutti sapevano che dalla primavera del 2011 Giorgio Napolitano aveva preso atto del tracollo di credibilità di Berlusconi. Tutti sapevano che vi erano trattative in atto dentro e fuori del Palazzo, già prima della scissione dei finiani. E’ pertanto veramente ridicolo far finta che si viene a sapere oggi quello che tutti sapevano da tempo, e che ha prodotto gli accadimenti successivi.

Cosa diversa da questo giudizio critico è, ovviamente, pensare di impugnare politicamente la prova dei fatti che oggi giunge documentata al centro dell’opinione pubblica. Qui conviene essere chiari. A un atto politico si risponde politicamente. Anche perché non è mai esistito un presidente della Repubblica che sia stato super partes. Neanche lo stesso Ciampi o Einaudi lo sono stati.

Il ruolo falsamente notarile del capo dello Stato aveva senso nella mente dei padri costituenti, impauriti dall’incubo del fascismo. Oggi non l’ha più, ed è mera retorica. Anche perché un presidente non eletto da tutti viene ad assumere il ruolo di garanzia solo di pochi organi non elettivi, i quali notoriamente sono al centro dei conflitti che da decenni immobilizzano la nostra democrazia, e che Renzi e Berlusconi vogliono cambiare insieme.

Meno ipocrisie, dunque, su scandali che non ci sono, e più fattività per fare presto e bene le riforme istituzionali.



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