Il governo di Matteo Renzi rischia di nascere sotto una cattiva stella, di quelle che infestavano la costellazione della Prima Repubblica. E non per colpa sua. Senza avere nemmeno l’incarico, il premier in pectore si è ritrovato suo malgrado calato in un pattern classico del teatrino italiano: sgambetti dagli amici e mani tese dai nemici.
Era successo con l’accordo sulla legge elettorale, fatto con Forza Italia e contrastato dal suo partito e, a mio avviso, si sta ripetendo in politica economica. In particolare con la principale sfida che lo attende: favorire la crescita e rinegoziare con Bruxelles condizioni più favorevoli sul deficit.
E’ la sfida più difficile per Renzi, anche perché rischia di ritrovarsi con una parte di sinistra che gli rema contro e con il sostegno – utilissimo, ma difficile da fare digerire si suoi – del centrodestra. Queste le premesse che me lo fanno pensare.
Il vicepresidente della commissione europea Antonio Tajani sabato15 febbraio, in piene consultazioni, fa a Renzi una proposta importante. «Bisogna avviare una inversione di tendenza. Va ridotto il cuneo fiscale. Se l’Italia si presenterà a Bruxelles con un pacchetto serio si potrà anche ridimensionare il patto di stabilità. Bisogna costruire il lavoro con un sostegno vero all’impresa, questi gli obiettivi che deve avere il nuovo governo». Tradotto, se Renzi si presenterà a Bruxelles riforme incisive e realistiche (cosa che peraltro fa parte del suo programma) il commissario all’industria, che è incidentalmente anche un esponente di Forza Italia, gli darà una mano con la Commissione.
I tempi sono propizi: l’esecutivo Ue è a fine mandato, i rigoristi alla Schaeuble sono concentrati su questioni interne. E l’Italia potrebbe recuperare il peso politico perso in questi anni.
Domenica 16 febbraio, mentre Renzi era impegnato a definire squadra e programma per i primi 100 giorni, è arrivata una risposta indiretta da parte del ministro dell’Economia. Fabrizio Saccomanni ha preso di fatto posizioni rigoriste che non ci sono più nemmeno a Bruxelles. Sforare il deficit? «L’Italia ha un alto debito: se noi sfondiamo il 3% il deficit, tornerà a crescere. Non posso pensare che l’Italia non si lamenti dell’alto debito ma del basso deficit».
Considerazione che altri Paesi non hanno fatto.
La Francia ha caricato sul deficit politiche per la crescita, perché il suo governo ha ritenuto prioritario permettere all’economia reale di sopravvivere a questo momento di crisi. Saccomanni ha anche detto che il fiscal compact «non è stato messo in discussione» da nessun membro di Eurolandia.
Ora, a parte il fatto che anche Renzi sa benissimo che non potrà ignorare i patto Ue, è vero che margini di manovra ci sono, anche rispettando le regole europee. Ad esempio passando attraverso i contractual arrangements, scambi tra Bruxelles e Paesi tra riforme e investimenti. Lo stesso governo Letta stava tentando questa strada.
La stoccata di Saccomanni sembra avere un valore più politico. È uno sgambetto perché le interviste dei ministri sono monitorate dalla Commissione e perché in questo momento Renzi ha bisogno di tutto, tranne che di essere bollato in Europa come un leader inaffidabile. Era successo a Silvio Berlusconi e sicuramente non gli ha portato bene.