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Tutte le cure orientali che l’Occidente non comprende

In Cina, la praxis medica tradizionale nelle campagne comporta qualche elemento di Falun Gong, la setta esoterica che il regime aborre decisamente, e si tratta di pratiche di autotrasformazione psichica che hanno anche un evidente rilievo di carattere bio-sanitario, e la praxis magico-medica riguarda una interpretazione “libera”, per così dire, dei testi della tradizione medica cinese antica: il canone interno dell’imperatore giallo un libro taoista, lo Specchio dorato della tradizione medica, e pochi altri ancora.

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Come se nelle nostre campagne si usasse ancora un testo medico di Gerolamo Cardano o gli scongiuri esoterici di Giordano Bruno, che pure il monaco nolano pagò a carissimo prezzo.

La medicina tradizionale, pure se integrata nel canone confuciano, è legata al Tao, anche se Renè Guenon sosteneva, secondo noi a ragione, che il confucianesimo sia l’essoterismo dell’esoterismo taoista.

La Via, il Tao, è la composizione temporanea dei due elementi che hanno composto e ancora costruiscono l’universo, una teoria della creazione continua che ritroviamo nel Corano e in molti testi della tradizione cristiana antica.

Non seguire il (proprio) Tao, che è il Tao della Realtà Invisibile, porta alla malattia, al disequilibrio tra yang e yin (freddo-caldo, umido-secco, luce-tenebra, etc.) che è la radice della patologia di ognuno.

Un tratto interessante della medicina  tradizionale cinese è l’attenzione alle condizioni atmosferiche, “Il vento è la causa di tutti i mali”, recita un detto del Canone dell’Imperatore Giallo, e l’umidità eccessiva o il secco del deserto vengono tradizionalmente lette come origine di molti mali.

Viene in mente quel vecchio racconto di Carlo Emilio Gadda, nel quale una cameriera rimane incinta e, in dialetto milanese, sostiene che “è tutta colpa dell’umidità che c’è in questa casa…”.

Sul piano della diagnosi, e della terapia, la medicina cinese tradizionale vi sono cinque modi di trattamento terapeutico: curare lo spirito, ed è questo che naturalmente affascina il grande vuoto spirituale e mistico dell’Occidente, che ha dimenticato sè  stesso, nutri il corpo, e si noti bene che si tratta di nutrizione, non di farmacopea specifica, ovvero ridare alò corpo l’equilibrio naturale sostenendone tutti i suoi organi, dare le medicazioni, ma appunto solo dopo che il corpo è stato nutrito, trattare l’intero corpo,  nelle medicine tradizionali non vi è separazione netta tra organo malato e gli altri sani, o apparentemente tali, e usare l’agopuntura e la moxibustione.

Quest’ultima consiste nel riscaldare, anche con il supporto di pietre e di erbe specifiche, i punti “energetici” del corpo per arrivare al riequilibrio yang-yin che è la guarigione.

Il simbolo della medicina tradizionale cinese è la Ruota Taoista della Medicina,  alla base di gran parte dell’arte cinese tradizionale, che mette insieme i 64 trigrammi dell’I Ching nel cerchio esterno (rosso) i 12 animali dello zodiaco (che compaiono anche nella definizione del calendario cinese) le Otto Forze dell’Universo, sempre al cerchio finora più interno, che sono  gli otto trigrammi originari sempre dell'”I Ching”, il libro dei cambiamenti, e che corrispondono agli otto meridiani straordinari che sono nel corpo umano, che sono legatio alle otto stelle e agli otto pianeti.

I Dieci Punti di Forza sono Celesti, e corrispondono ad una energia ad alta frequenza, mentre le Dodici Aree Terrestri sono punti a minore frequenza nell’energia terrestre.

Questo è, per usare un’espressione che Nietzsche amava molto, è il “campo di forze” nel quale l’individuo si muove comunque, e che deve essere riequilibrato, con la medicina tradiionale nel corpo dell’individuo e con la magia astrale nel collegamento, che è la vera cura, tra il Cosmo Visibile-Invisibile e il soggetto malato.

O meglio, gli esseri che abitano il soggetto quando è malato e il suo vero Io, che è probabilmente rinchiuso in un “campo di forze” avverso e negativo.

Simbolicamente, ma non del tutto, nel sistema medico taoista gli uomini hanno la loro radice nel cielo, le cellule del cervello funzionano come le foglie di un albero, e la terapia è sostanzialmente il raggiungimento da parte del malato della Luce Celeste, quella che viene emanata dalla creazione continua del cosmo e che quindi ri-crea, ovvero sana, il soggetto ammalato.

Tutto nasce dalla “sottile origine” del tutto, che è rappresentata da tre livelli: la sottile origine come tale, che è il Tao, da Chi, che è l’energia sottile e poi da tutti i fenomeni che vediamo e percepiamo, che sono solo le varie combinazioni di Chi.

Viene in mente quella osservazione di Gesù Cristo quando alcuni osservano che può camminare sulle acque, e Lui risponde che “solo per Voi sono acque, per me è solo una Sostanza”.

I Tre Tien, i centri corporei principali, sono nella testa (Origine Sottile)  nel Tronco ( Il Chi) e nel basso ventre, dove avviene la materializzazione del nesso tra Origine Sottile e i vari Chin.

È molto probabile che la medicina tradizionale cinese, in Occidente, non abbia questo tipo di coscienza cosmica da parte dei suoi pazienti, che la utilizzeranno come una tecnologia naturale, il che funzionerà, casomai, per la terapia, solo al livello della materializzazione tra Chin e Origine Sottile, due concetti che l’ingenuo materialismo attuale dell’Occidente non potrà mai capire.

Per l’ayurveda indiano, ogni cellula è un elemento di coscienza. Ognuna di esse ha intelligenza e capacità di scelta.  L’intelligenza cellulare delle piante viene assorbita, tramite il cibo, dagli uomini (ecco, anche qui come in Cina, l’importanza della nutrizione) e il corpo trasmorma l’intelligenza del nutrimento tramite il rasa (gusto) virya (energia) vipaka, (effetto  post-digestivo) e prabhava, l’effetto specifico della pianta assunta.

Nell’astrologia ayurvedica, che è, come in Cina, il fondamento della prassi terapeutica, le forze celesti si collegano a tre “umori biologici”, Vata, Pitta e Kapha, che sono il Vento ( o il fiato) la bile e la Flemma.

Vengono qui in mente i nostri, europei, trattati di medicina medievali, con la definizione parallela degli “spiriti” e delle “sostenze primarie”.

Vata è il Moto, Pitta è la Luce e il Calore (l’elemento attivo tra Yang e Yin, nella tradizione cinese) e Kapha è l’inattività e la conservazione.

Ma è proprio sul piano cosmologico che si fonda l’ayurveda terapeutico: tutto il cosmo è un grande organismo, Purusha, la Persona Cosmica della tradizione vedica.

Ogni cosa che accade a un livello della Realtà si riflette su tutti gli altri, e noi abbiamo Tre Corpi: il Fisico, l’Astrale e il Causale.  Il Corpo Astrale fa vivere, come la mano dentro una marionetta, il Corpo Fisico, ed è composto dalla forza vitale, dai nostri sensi, dall’aspetto visibile della mente.

Il Corpo Causale, che si rivela a noi nei sogni e nelle visioni, è invece il Fondo Invisibile che ci porta ad un determinato ciclo di passaggi e reincarnazioni, ed è quello che noi occidentali chiameremmo, semplificando, l’anima.

Strano questo nesso tra sogno e anima, che è anche al fondo della psicanalisi freudiana, che potremmo interpretare come la prassi terapeutica (anche sul piano fisico, talvolta) del meccanismo di Interpretazione dei Sogni che si trova nei tanti testi biblici che trattano della coscienza notturna, e che Freud, che aveva forti interessi esoterici, e per questo basta guardare la bibioteca del suo studio a Berggasse 19, Vienna, rielabora con un sottofondo cabbalistico.

Ma torniamo alla medicina ayurvedica: troppo Vata causa dimagrimento, debilitazione, costipazione, insonnia e depressione.

Pitta in eccesso causa il colore giallo nel corpo e nelle urine, sensazioni di bruciore e, anche qui, insonnia.

Kapha in eccesso causa nausea, letargia, colore bianco della pelle, difficoltà a respirare e eccesso di sonno.

La logica dell’Ayurveda è quella di combinare, senza mai dimenticare gli aspetti astrologici ed esoterici della malattia, le sostanze che introduciamo nel nostro corpo, l’intelligenza cellulare del cibo e delle bevande, nell’equilibrio tra le varie parti del corpo e tra esse e Purusha, in modo che la malattia, squilibrio pericoloso, venga, per così, dire, annullata da un nuovo equilibrio al quale partecipa, è bene notarlo, anche ciò che rimane della malattia stessa.

Viene ancora qui in mente la bella tradizione analitica di storia della medicina occidentale rappresentata da Georges Canguilhem, che sosteneva come il nesso tra “normale” e “patologico” sia in effetti un criterio culturale e simbolico, non la manifestazione oggettiva di una evidente “malattia”.

Le malattie non sono mai evidenti.

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Giancarlo Elia Valori
Honorable des Academie des Sciences de l’Institut de France

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