Cercare di guadagnare competitività gli uni sugli altri ne è la logica e naturale conseguenza. In assenza di cambio, la svalutazione interna è il meccanismo attraverso cui si realizza questo processo. La riuscita, in termini di export, di queste politiche implica spostamenti di risorse dalle imprese meno efficienti e in contrazione verso quelle più dinamiche e in espansione.
Per assecondare tale meccanismo sarebbero necessarie istituzioni efficaci di assistenza universale e di reinserimento professionale rivolte a coloro che perdono il posto di lavoro. L’Italia ne è priva. In secondo luogo occorrerebbe che emergesse un numero sufficiente di imprese in espansione, per assorbire le riduzioni di manodopera da quelle in contrazione. Credit crunch ed esiguità della ripresa fanno venire meno questa condizione. C’è dunque un rischio: se persisterà la stretta del credito, il percorso di svalutazione interna potrebbe comportare un costo elevato in termini di restringimento della base produttiva a causa del prevalere degli effetti di distruzione su quelli di creazione.
Il taglio del cuneo fiscale può essere una via alternativa, ma richiede il reperimento di ingenti risorse al fine di conciliare l’obiettivo della competitività con quello del sostegno del reddito delle fasce più deboli.
La politica economica per la ripresa continua, dunque, a dover fare i conti con strettissimi vincoli di bilancio. Ridefinizione europea dei vincoli e forti manovre redistributive sembrano le uniche strade disponibili per imboccare un percorso diverso da quello della tenuta dei conti e dell’affidamento agli “spiriti animali” che ha caratterizzato gli ultimi anni.