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Un paio di consigli ad Alfano per costruire un vero centrodestra

Il quadro politico italiano ha celebrato il suo mutamento repentino dopo l’avvicendamento a Palazzo Chigi tra Enrico Letta e Matteo Renzi. Il colpo di genio all’italiana, come l’ha chiamato enfaticamente Giulio Sapelli, si è issato attorno alla doppia maggioranza, quella di governo e quella delle riforme.

Com’era da attendersi, il procedere dell’Italicum si è progressivamente impaludato nelle trame degli interessi, tutti legittimi per altro, rappresentati in Parlamento. Anche le quote bianche, rosa per i più, non sono state altro che uno specchietto per le allodole, che nascondeva la precisa volontà dei pesci grandi di allontanare le preferenze, reclamate e volute dai pesci piccoli.

La vera e sostanziale novità politica non è ovviamente questa. E’ invece, e non soltanto per le imminenti elezioni, l’adesione del Pd al Pse. Sotto la coltre mediatica delle tanto sbandierate riforme, in realtà si tratta della prima, vera e grande riforma già raggiunta. Vale a dire, rendere europea e riformista la sinistra, impresa che non era riuscita né a Veltroni, né a D’Alema.

Il vero nodo irrisolto riguarda, per contro, il centrodestra, ossia quello che dovrebbe diventare il volto italiano del Ppe. Nei fatti, Forza Italia resta il partito più grande, ma l’aderenza della sua linea politica al popolarismo europeo è, quanto meno, problematica. Le riserve non sono tanto legate a Berlusconi, ma alla finalità populista che è perseguita costantemente dal movimento.

Il problema non è che Fi stia all’opposizione, ma che conserva gelosamente un consenso solido di quasi un quarto di elettorato nazionale, giocando la partita del radicalismo anti sistema. Se, però, si considerano le forze politiche realmente conformi alla filosofia europea dei moderati, ci si accorge ben presto che esse non raggiungono il dieci per cento.

Il futuro del sistema italiano, pertanto, non si cela nella speranza delle riforme Renzi, perché queste arriveranno lentamente e parzialmente, se arriveranno. Riposa, invece, nella capacità, soprattutto del Ncd, di saper raccogliere attorno alla propria proposta politica, chiaramente ispirata a valori liberali e conservatori di tipo europeo, un consenso veramente consistente.

Sarà possibile quest’operazione?

Se si guarda ai sondaggi dei votanti, sembra di no. Se, viceversa, si osserva il bacino elettorale complessivo, ci si accorge che esistono due partiti concretamente maggioritari: il Pd e l’astensione, entrambi piazzati all’incirca intorno al 34%. Se il Ncd sapesse raggiungere e convogliare a sé anche solo un terzo di questi elettori refrattari e delusi, allora veramente le riforme sarebbero giunte a buon fine, e l’Italia avrebbe un partito popolare concorrente sul piano nazionale al Pd.

Per farlo, è necessaria l’audacia di andare a stanare la maggioranza invisibile del paese laddove essa si nasconde: nelle famiglie, nelle piccole imprese, nella classe media, distratta e disillusa. Andare in quella direzione, vuol dire muoversi in un territorio difficoltoso, con un passo diverso, non sapendo se si ritorna vivi o morti dalle urne. E questa è la ragione del fatto che le percentuali di fallimento sono a oggi tanto alte, e quelle di riuscita tanto basse.

Conviene, tuttavia, per il bene dell’Italia di oggi e di domani non smettere di sperare e di lavorare in questa direzione. Altrimenti, non ci saranno mai vere riforme, ma solo piccoli e inutili rattoppi.


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