Skip to main content

Perché l’Italia deve riformare se stessa per conquistare flessibilità in Europa. Parlano Buti e Micossi

È possibile promuovere il risanamento dei conti pubblici e la ripresa economico-occupazionale rispettando i parametri di bilancio previsti dal Patto di stabilità nei tempi ferrei del Fiscal Compact? L’interrogativo non trova una risposta certa alla luce del dibattito dal titolo “Quadrare il cerchio dell’Euro-zona. Riforme, stabilità finanziaria e sostenibilità fiscale”, promosso ieri dall’Istituto Affari Internazionali e dal Centro Studi sul Federalismo nella Sala Multimediale di Banca MPS, a Roma.

LA DIAGNOSI DI BRUXELLES

Il tema può essere compreso prendendo in esame le eccessive asimmetrie presenti nell’area della valuta unica e nell’Unione Europea. Panorama rilevato dalla Commissione UE nell’Analisi pubblicata il 5 marzo sugli squilibri macro-economici di 17 paesi membri. Relazione che indica nell’Italia un anello fragile, con Croazia e Slovenia, su cui esercitare una rigorosa sorveglianza. Ma che lascia irrisolti dubbi e perplessità sulla mancanza di un autentico bilancio comunitario focalizzato su investimenti produttivi di lungo termine.

I PERCHE’ DI UNA RIPRESA LENTA

Problematiche che, spiega il direttore generale Affari economici e finanziari dell’esecutivo europeo Marco Buti, vanno a inserirsi nello scenario continentale di una ripresa lenta rispetto ai ritmi registrati negli Stati Uniti all’indomani della tempesta finanziaria del 2007-2008. Un fenomeno che non risparmia nessuna realtà dell’Unione, Germania compresa. Perché in tutte le fasi seguenti alle crisi bancarie i debiti accumulati richiedono tempo per essere risanati. E quando il passivo nei bilanci pubblici e privati viene ridotto, la domanda rallenta. Tanto più nel Vecchio Continente, in cui prevale una marcata dipendenza dagli istituti creditizi per accedere al mercato di capitali e di investimenti, otre a una politica monetaria e macro-economica poco espansiva.

UNIONE MONETARIA, LA GRANDE INCOMPIUTA

La crisi in atto, rileva lo studioso, ha poi evidenziato la natura monca dell’Unione economico-monetaria. Le ragioni risiedono nella moltiplicazione dei rischi e nel rinvio delle riforme strutturali durante i periodi di congiuntura favorevole, nel comportamento mutevole dei mercati finanziari, nell’effetto contagio favorito dalla sorveglianza essenzialmente “fisco-centrica” da parte delle autorità comunitarie.

Le quali hanno reagito con il Fondo salva-Stati, gli strumenti di vigilanza più estesi sui bilanci e sulle emissioni di titoli e obbligazioni, l’Unione Bancaria e il meccanismo unico di risoluzione delle crisi creditizie. E attraverso riforme strutturali promosse nelle nazioni più vulnerabili: Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda.

CERCASI CRESCITA DISPERATAMENTE

Per coniugare sostenibilità finanziaria e modelli di Welfare adeguati è necessario uno sviluppo economico più sostenuto. Ma a fianco di interventi strutturali ambiziosi bisogna mettere in atto una strategia di crescita bilanciata tra le aree dell’Euro-zona. Perché è errato un allineamento asimmetrico dei bilanci, tutto a carico degli Stati in deficit e con un tasso di inflazione molto ridotto. Per fortuna la BCE è consapevole della necessità di stabilizzare i prezzi a un tasso del 2 per cento, per un aggiustamento più favorevole alla domanda interna.

Ma ciò non basta. È fondamentale risanare il settore finanziario con una genuina Unione Bancaria e ripristinare i flussi di credito destinati al tessuto produttivo, attenuando la relazione tra istituti emittenti e titoli di Stato dei paesi fragili. Altro punto irrinunciabile è incoraggiare un consolidamento dei conti pubblici differenziato e flessibile, calibrato sulle rispettive esigenze di sviluppo e tenendo presente la qualità degli investimenti.

UNA POLITICA CON LE MANI LEGATE

L’ambizioso progetto prospettato da Buti rischia di vanificare i suoi effetti a giudizio dell’economista Stefano Micossi, professore al Collegio d’Europa in “Mercato Interno dell’Unione europea” e direttore generale dell’Associazione fra le Società italiane per azioni: “L’Italia può prevedere nel breve periodo uno sviluppo potenziale dello 0,5 per cento. Rispetto al quale non possiamo rinunciare alle nostre responsabilità e invocare l’aiuto dell’UE”. Ma la politica ha le “mani legate”, a causa della mancanza di fiducia nei nostri confronti. Per tale motivo, è la sua convinzione, oggi non è pensabile lo scambio tra risanamento finanziario e sostegno economico comunitario.

L’ITALIA DI RENZI

Come si può uscire dallo stallo? L’ex direttore del Centro studi di Confindustria boccia la ricetta di una strategia monetaria espansiva: “Un azzardo morale che non verrebbe condiviso dagli Stati forti e fornirebbe alle nazioni poco disciplinate l’alibi per non realizzare le riforme”. La stessa Unione Bancaria, che presupporrebbe un’assunzione condivisa dei rischi creditizi per evitare una frammentazione dei mercati finanziari, non ha evitato l’acquisizione di enormi flussi di titoli sovrani da parte delle banche.

L’unica strada, osserva l’ex responsabile del Servizio studi internazionali della Banca d’Italia, è la più semplice e faticosa allo stesso tempo: “L’Italia dimostri serietà nel portare a compimento gli interventi strutturali prefigurati da Matteo Renzi con un calendario di impegni vincolanti. A partire da un utilizzo rigoroso e aggressivo dei fondi strutturali europei, per favorire l’avvento della Flexsecurity e non per pagare la cassa integrazione”.

SCETTICISMO NELL’UNIONE BANCARIA

Argomentazioni riprese da Marcello Messori, direttore della LUISS “School of European Political Economy”. Ricordando che soltanto con un tasso di crescita del 3 per cento annuo, attualmente impensabile, il rientro in 20 anni dall’eccesso di debito pubblico previsto dal Fiscal Compact non sarebbe traumatico, lo studioso esprime una valutazione fortemente critica sugli effetti dell’Unione Bancaria.

Concepita per separare la crisi dei debiti sovrani da quella di liquidità del comparto creditizio, essa suscita ai suoi occhi non poche preoccupazioni. Perché il meccanismo e il fondo di risoluzione unico delle crisi coinvolgerebbe non soltanto i detentori di azioni, ma anche i possessori di obbligazioni e di depositi bancari oltre i 100mila euro. Uno scenario, messo in luce dall’economista ostile all’euro Claudio Borghi, che finisce per alterare e aumentare il profilo di rischio dell’obbligazione creditizia.

GLI INTERVENTI STRUTTURALI

Molto più ottimista è la sua analisi riguardo alle conseguenze delle riforme strutturali, che gli Stati più fragili sono tenuti a mettere in atto per divenire competitivi. L’agenda, che spetta alle istituzioni politiche nazionali realizzare, è fin troppo nota: incoraggiare la produttività, liberare le imprese dai vincoli burocratici, giuridici e fiscali, favorire l’attrazione di investimenti stranieri. Un programma così incisivo, senza abbandonare e svalutare l’euro e senza comprimere i salari, è il requisito per “ottenere in sede comunitaria clausole di flessibilità al fine di scorporare determinati investimenti produttivi dal rapporto deficit-PIL del 3 per cento, e prolungare i tempi di rientro nel vincolo del 60 per cento tra passivo di bilancio e Prodotto interno lordo”.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter