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Vi spiego come e perché l’Italia assumerà la guida del Mediterraneo. Parla Manciulli

Gli Stati Uniti chiedono all’Italia, partner strategico dell’Alleanza atlantica, di assumere un ruolo-guida nel Mediterraneo. La priorità, come richiamato da Barack Obama poco prima della sua visita in Italia, resta quella di non cedere all’austerity tagliando oltremodo gli investimenti in tecnologie di difesa, come il dossier riguardante gli F-35, partecipati da Finmeccanica e da altre aziende italiane.

Un appello, quello del capo di Stato Usa, accolto dal premier Matteo Renzi (Pd) che ha detto che Roma manterrà “gli impegni presi con i partner europei e gli Stati Uniti, in particolar modo per quanto riguarda il Mediterraneo” e ribadito stamane a Pratica di Mare dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, che sedato le polemiche riguardanti il programma Jsf ribadendo che “il problema sono gli sprechi” e non i velivoli di Lockheed Martin.

Parole e gesti commentati in una conversazione con Formiche.net da Andrea Manciulli, vice presidente della commissione Esteri della Camera e delegato dell’assemblea parlamentare della Nato.

Onorevole, Renzi ha accolto l’invito di Obama ad un maggiore protagonismo nel Mediterraneo. In cosa consisterà?
Il Mediterraneo è un punto nodale per l’Europa e l’Occidente. L’amministrazione americana, Obama in primis, hanno molto apprezzato che il presidente del Consiglio Renzi abbia posto al centro della nostra politica estera questo tema, come dimostra il suo recente viaggio in Tunisia. Dal Mediterraneo passa molto della sfida della sicurezza che stiamo affrontando come Paese e come continente. Ma perché tutto ciò abbia un esito positivo, c’è bisogno che l’Europa si riappropri di un ruolo, non delegando tutto agli Usa, che stanno spostando il loro asse strategico sul versante del Pacifico. Washington non intende lasciarci da soli, ma ci chiede maggiore collaborazione per pacificare l’area attraverso lo strumento comune della Nato. L’Italia si deve battere e deve impegnarsi in prima persona per convincere l’Europa che il Mediterraneo deve diventare una regione di pace.

Su quali aree si concentrerà l’azione del nostro Paese?
L’Italia può essere il pivot di questo nuovo approccio di sicurezza condivisa vista la sua posizione e la sua tradizione di dialogo e conoscenza di alcuni Paesi vicini come la Libia, su cui Obama si è soffermato non a caso, così come non lo è il fatto che sia toccato al nostro Paese ospitare la recente Conferenza internazionale per discutere della pacificazione di Tripoli.
Sono d’accordo con lui, perché dalla Libia passano molti interessi italiani, economici e non solo. La Libia può essere un grande fattore di insicurezza nel futuro a causa della sua ampia fascia di deserto che la rende un anello di congiunzione con il Sahel, un’area – come abbiamo visto in Mali – che sta diventando un incubatore di gruppi terroristici che si finanziano attraverso il traffico di armi e di esseri umani. Mi colpì molto sapere che la recente presa di Falluja da parte di gruppi armati collegati a movimenti qaedisti è stata realizzata con armi provenienti dall’arsenale di Gheddafi, luoghi estremamente lontani, ma tra i quali evidentemente esiste un collegamento alla base di una rete internazionale. Si tratta di minacce reali e non immaginarie. E per affrontarle abbiamo bisogno di una politica estera chiara, sulla quale c’è stata assoluta convergenza non solo tra Renzi e Obama, ma ancora prima tra quest’ultimo e il presidente Napolitano.

Quali investimenti ritiene vadano fatti per affrontare queste criticità?
Credo che la scelta di fare un Libro Bianco sia importantissima, perché dopo diversi anni consente di capire quali spese fare in relazione al nostro orizzonte strategico, individuando le minacce esistenti e come le si contrasta. CIn questo senso considero positivo quanto fatto finora dal ministro Pinotti, così come condivido le sue dichiarazioni odierne da Pratica di Mare. La nostra capacità di difesa si fonda su prevenzione, intelligence e deterrenza. Combinare questi aspetti richiede un elevato e costante investimento in tecnologie, che abbiamo bisogno di fare anche per colmare alcuni nostri deficit ad esempio nel campo della sorveglianza satellitare e del rifornimento in volo. In quest’ottica va letta la questione degli F-35, che va accompagnata ad un’armonizzazione della spesa creando una comune difesa europea. La soluzione è eliminare gli sprechi, non tagliare orizzontalmente. Un orizzonte possibile se si considera che, se messe assieme, le truppe di terra di tutti gli Stati membri dell’Unione superano di gran lunga quelle del Paese che ha il miglior sistema di difesa, gli Usa.

Crede che anche la Nato debba rinnovarsi per affrontare queste nuove sfide?
Mi consenta di dire che, intanto, malgrado quello che alcuni commentatori affermano, la crisi ucraina e altri focolai di guerra non distanti da noi dimostrano come l’Alleanza atlantica serva ancora a difendere i nostri confini. Detto ciò credo che la Nato debba creare una più forte sinergia con l’Europa come soggetto unico e coordinato, creando un asse che vada dal Pacifico – dove sono presenti gli Usa – al Mediterraneo – dove c’è il Vecchio Continente. Un rilancio che si può produrre solo con i fatti e non con riunioni o personalismi. E se si crede in questo progetto e nell’Alleanza, anche la scelta del prossimo segretario generale dovrà tendere a un nome con una forte capacità di leadership, capace di portare avanti questa sfida.



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