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Vi spiego perché Putin col gas non può guerreggiare troppo con l’Occidente

La crisi ucraina ha portato al centro dell’attenzione della politica internazionale il problema della sicurezza energetica. L’Europa è troppo dipendente dal gas russo. Importa dalla Russia il 30% dei suoi fabbisogni. Taluni Stati hanno però una dipendenza del 50%. Sono quindi particolarmente vulnerabili a pressioni politiche e a ricatti da parte di Mosca. Il problema riguarda sia la quantità degli approvvigionamenti, sia il loro prezzo e deriva dal fatto che, a differenza del mercato degli altri combustibili fossili – petrolio e carbone – quello del gas è soprattutto regionale. Solo per il 10%, con il gas naturale liquido (LNG) è globale. Inoltre, non esiste un’OPEC del gas, cioè un cartello di produttori, in grado di esercitare un’azione equilibratrice fra domanda, offerta e prezzo.

MERCATO FRAMMENTATO
Sotto il profilo della domanda, il mercato europeo è frammentato. Si tenta di unificarlo con l’interconnessione delle reti dei gasdotti, indispensabile per creare un mercato interno unico. Esso renderà più difficili alla Russia pressioni politiche selettive, sugli Stati più vulnerabili. Non sono invece unificate le politiche europee nei riguardi della Russia. Gli interessi degli Stati membri sono troppo diversi. Forse qualcosa sarà fatto nel Consiglio europeo di giugno, che tratterà dell’energia.

LA SICUREZZA ENERGETICA
La sicurezza energetica è influenzata anche dal prezzo, che influisce sulla competitività dei “sistemi-Paese”. L’URSS aveva mantenuto legati a sé i Paesi satelliti, rifornendoli d’energia a basso prezzo. Va considerato che in Europa vengono “caricati” sul costo finale dell’energia – soprattutto di quella elettrica – oneri impropri, quali il dissennato finanziamento delle rinnovabili. Il radicalismo ecologista deve oggi confrontarsi con la crisi economica e la disoccupazione giovanile, che ha contribuito a creare. Fra economia ed ecologia va trovato un ragionevole equilibrio, che tenga anche conto che la prima è nazionale, mentre i fattori che influiscono sulla seconda sono regionali o globali. È una follia che l’UE voglia ridurre, con alti costi, le sue emissioni di CO2, quando la Cina le sta aumentando, accrescendo la percentuale del carbone nel suo mix elettrico e che il costo dell’energia negli USA è pari alla metà-un terzo di quello europeo. Pechino non intende aumentare in modo significativo le sue importazioni di gas dalla Russia. Teme di divenire vulnerabile a pressioni di Mosca, dirette a limitare la sua crescente influenza in Asia Centrale.

SETTORE IN LENTA EVOLUZIONE
Il mercato del gas è regionale per la sua bassa densità energetica (quantità di energia per unità di volume o di peso). I consumatori sono legati ai produttori con una rigida rete di gasdotti. Solo recentemente, una sua parte si è globalizzata con il crescente utilizzo del gas liquefatto (LNG), trasportato con metaniere dagli impianti di liquefazione ai rigassificatori. In talune fasi della crisi ucraina l’importazione in Europa dagli USA di shale gas liquefatto è stata rappresentata come lo strumento il toccasana. Ma la “catena dell’LNG” richiede lunghi tempi di costruzione ed è molto costosa, fino al 40% in più del gas trasportato con gasdotti. Per tale motivo, l’uso del LNG si è diffuso soprattutto in Asia Orientale, che paga il gas il 30-50% più dell’Europa e il 70-80% più degli USA. Tecnicamente, fra una decina di anni gli USA potrebbero sostituire con il loro LNG quello naturale russo. E’ un tempo troppo lungo per fronteggiare le minacce di Putin, d’interrompere i rifornimenti all’Ucraina e ai Paesi Baltici. Fra l’altro, la Turchia vieta il transito di metaniere dal Bosforo. Si pensa di collegare l’Ucraina con un rigassificatore costruito dalla Croazia in Adriatico e con gasdotti transitanti per l’Ungheria e la Slovacchia. Si dovranno comunque affrontare costi maggiori, forse proibitivi.

UNA SOLUZIONE PARZIALE
Quindi, l’LNG USA costituisce solo una soluzione parziale, temporanea e di emergenza. Non è neppure certo che si riescano a costruire i rigassificatori. In Italia vi è contro di essi una mobilitazione, sulle cui fonti di finanziamento e di sostegno politico sarebbe interessante investigare. Sicuramente vi è la “manina” delle potenti lobby politiche ed economiche delle rinnovabili. Vi è da chiedersi perché, nei programmi economici annunciati dal governo Renzi, non compaia una drastica riduzione degli oltre 10 miliardi di euro d’incentivi di cui annualmente fruiscono le rinnovabile, impiegati in consistente parte per importare pannelli solari costruiti in Cina e per interessi a chi vi ricorre. In Germania, Stato-esempio di quanto dovremmo fare, è stata effettuata un’indagine sull’impatto economico degli incentivi alle rinnovabili. Esse, fra l’altro, diminuirebbero di oltre 50 miliardi di euro all’anno le esportazioni tedesche.

NORMATIVE DIFFERENTI
I consumi di gas in Europa sono in aumento, mentre la produzione europea sta diminuendo. Come evitare allora la dipendenza eccessiva dalla Russia? A parte l’interconnessione delle reti europee di gasdotti, il risparmio energetico e l’“ombrello” d’emergenza dell’LNG, sono in atto esplorazioni per l’utilizzo dello shale gas nel Regno Unito, Polonia, Romania e Ucraina. Dubbi sulle sue possibilità ottimali di sfruttamento non derivano solo dall’opposizione dei “soliti noti” all’uso delle tecniche del fracking, ritenute inquinanti, ma anche dalla diversità della normativa europea sulla proprietà del sottosuolo, rispetto a quella USA. In Europa le risorse sotterranee sono pubbliche; negli USA, private. Ciò ha loro permesso l’attivazione di enormi capitali e una crescita esponenziale della produzione. La percentuale dello shale gas nei consumi americani era dell’1% nel 2000; oggi è del 25%; si prevede che nel 2030 superi il 50%. Un apporto alla sicurezza energetica europea potrà poi derivare dal Bacino Levantino e dall’aumento delle importazioni dall’Africa del Nord. L’Algeria sembra più disponibile a investimenti esteri. La Libia, prima o poi, si stabilizzerà. Infine. il TAP (TransAdriatic Pipeline) trasporterà in Italia parte del gas del Caspio senza transitare dal territorio russo.

IL MONOPOLIO DI GAZPROM
Il Cremlino ha avvertito il pericolo che incombe sul monopolio di fatto di Gazprom. Se esso finisse, diminuirebbe la sua capacità di usare il gas per pressioni politiche. Non potrà sostituire il mercato europeo con quello asiatico. Per questo, ha adottato una politica di “barriera all’entrata” di concorrenti sul mercato del gas, attraverso la riduzione dei prezzi. Negli ultimi due anni, Gazprom ha praticato sconti per 5 miliardi di euro, pari al 10% dei ricavi della sua vendita di gas all’Europa. Ciò graverà sulla bilancia commerciale russa. Quelle del gas ammontano al 20% delle esportazioni energetiche russe. L’80% deriva dal petrolio. La prevedibile diminuzione del prezzo del barile, dovuta alla ripresa delle esportazioni irachene e iraniane e a qualche “spinta” americana sull’Arabia Saudita, inciderà sulle possibilità di Mosca di finanziare le spese della Federazione.

LA VERA SFIDA DI PUTIN

Per i giacimenti artici di gas, la Russia non possiede poi le tecnologie necessarie, che ha solo l’Occidente. Putin non può quindi spingersi oltre un certo limite nell’uso del gas come arma. Sfidando l’Occidente, rischia la bancarotta. La geopolitica del gas sta influendo su quella mondiale in misura più accentuata del passato. La sicurezza energetica dell’Europa è più solida e la Russia più vulnerabile di quanto spesso si ritenga.


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