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Tutti gli scenari delle elezioni presidenziali in Afghanistan

La sera del 5 aprile, alla chiusura dei seggi delle elezioni presidenziali in Afghanistan, la Casa Bianca deve aver tirato un sospiro di sollievo. Grosso modo, le elezioni si sono tenute e abbastanza regolarmente, anche se la partecipazione al voto è stata molto bassa nelle zone rurali, dominate dai Talebani. Gli elettori delle città, invece, si sono recati in massa alle urne. Molti seggi hanno dovuto essere riforniti d’urgenza di schede. Quelle predisposte non erano sufficienti. Il numero di elettori aveva superato le previsioni.

A FINE LUGLIO
Per avere un nuovo presidente, che si spera possieda sufficiente equilibrio, legittimità e competenza, si dovrà aspettare a fine luglio. E’ quasi sicuro che vi sarà un ballottaggio. Ancora per qualche mese, gli USA non potranno levarsi dai piedi Hamid Karzai. L’attuale presidente sta giocando con il fuoco. Karzai, completamente delegittimato dalla sua inefficienza e corruzione, accusa gli USA di aver promosso un complotto per indebolire il suo governo. Ha rifiutato di firmare l’accordo sullo “stato delle forze”, senza il quale gli USA e i loro alleati si ritireranno completamente dall’Afghanistan. Eppure, sa che senza il supporto addestrativo e logistico occidentale, i suoi non potranno resistere ai Talebani. Se i 200.000 afgani, componenti delle Forze armate e i 150.000 di quelle di polizia, fossero coesi e fedeli allo Stato, e non divisi secondo linee etniche e tribali, Karzai rischierebbe un colpo si Stato militare. Non si sa se sia fuori dalla realtà o, nella sua paranoia complottistica, sia uscito fuori di senno. A parer mio, è un “furbacchione”, che tenta di mantenere parte della sua influenza e del suo potere. Si sta costruendo una casa nel complesso presidenziale di Kabul, da cui non intende muoversi. Per indispettire ulteriormente gli USA, dimostrare la sua indipendenza e ottenere l’appoggio di Mosca, ha riconosciuto l’annessione della Crimea alla Russia. Solo la Siria e il Venezuela l’hanno finora fatto.

L’IDEA AMERICANA
Barack Obama, sostenitore non senza ripensamenti e pasticci dell’intervento in Afghanistan, ha esaltato queste terze elezioni afgane come prova di democrazia. Il che è stato forse un po’ esagerato. Si è poi congratulato con il popolo afgano per il coraggio che ha dimostrato nello sfidare i Talebani. Essi avevano minacciato di uccidere tutti coloro che avevano il dito colorato all’atto del voto con inchiostro indelebile, per evitare che votassero più volte.

RICONCILIAZIONE NAZIONALE
I tre candidati, fra cui saranno scelti i due che parteciperanno al ballottaggio, hanno programmi quasi eguali. Tutti e tre hanno come obiettivo prioritario la riconciliazione nazionale e il rispetto delle minoranze. L’esito del voto sarà quindi grandemente influenzato dalle affiliazioni etniche e tribali. La cosa è inevitabile, malgrado che gran parte della popolazione sia stanca di oltre trent’anni di guerra. Un fatto positivo che fa sperare nel futuro del paese è stata la capacità dimostrata dalle forze armate e di polizia afgane di mantenere un ragionevole livello di sicurezza e di ordine pubblico.

TONI MODERATI
Comunque, nella propaganda televisiva hanno prevalso i toni moderati. Le piazze, in cui si tenevano i comizi, erano affollate di ascoltatori appartenenti a etnie e a gruppi clanici diversi. Ciò ha permesso di affermare che l’Afghanistan è cambiato in meglio, fatto indubbiamente vero soprattutto nelle città. I politici occidentali possono così giustificare di fronte alle loro opinioni pubbliche, sempre più scettiche, il sangue versato e i costi sostenuti. Potrebbero far dimenticare gli errori strategici e la brutalità tattica impiegata nel lungo conflitto.

GLI SCENARI POSSIBILI
Se l’ottimismo è d’obbligo per la retorica politica, il pessimismo lo è altrettanto per qualsiasi realistica previsione sul futuro del paese. Esso rimane incerto. Vari sono gli scenari possibili.
Il primo, più ottimistico, è che venga eletto un presidente sufficientemente forte per poter firmare l’Accordo di Sicurezza inizialmente con gli USA, che sarà esteso a tutti i paesi che hanno deciso di restare in Afghanistan con propri militari nel post-2014, a ritiro avvenuto delle truppe di combattimento. Rimarrebbero da 10 a 12.000 soldati, di cui all’incirca 800 italiani. Avranno il compito di addestrare e di dare sostegno logistico alle forze afgane. Un piccolo nucleo di forze speciali USA cercherà di eliminare il centinaio di al-qaedisti ancora in Afghanistan. Karzai aveva rifiutato di firmare l’accordo, che prevede la giurisdizione dei paesi d’origine sui rispettivi militari, malgrado la sua approvazione da parte della Loya Jirga, l’assemblea degli anziani e dei rappresentanti delle comunità locali. Come accennato, il supporto occidentale è ancora necessari per fronteggiare i Talebani. E’ necessario anche per evitare che scoppino “guerre per procura”. L’Afghanistan rischia di divenire campo di battaglia anche fra potenze esterne, che si ingeriranno nelle questioni del paese, strumentalizzando ai loro fini l’ostilità fra le varie fazioni afgane.

COME LA SIRIA?
Il secondo scenario è di tipo “siriano”. Scoppierebbe una guerra civile fra i vari “signori della guerra”, sostenuti da “padrini” esterni. Le competizioni sono diverse: quella dell’Iran contro l’Arabia Saudita, che ha intensificato l’appoggio al radicalismo sunnita dei Talebani, soprattutto dopo l’accordo fra Washington e Teheran sul nucleare; quella del Pakistan contro l’India. Sarà coinvolta la Russia, preoccupata del possibile contagio del radicalismo talebano in Asia Centrale e nelle sue province islamiche. Anche la Cina giocherà un ruolo attivo, sia per i collegamenti dei Talebani con i terroristi Uiguri del Sinkiang, che per il controllo delle ricchezze minerarie dell’Afghanistan. Le forze di sicurezza afgane non sarebbero in grado di opporsi alla frammentazione del paese. Si dividerebbero secondo linee etniche e tribali. Non va escluso che si riformi l’anti-talebana Alleanza del Nord, con i Tagiki, gli Hazara e gli Uzbechi, appoggiati e armati da India, Iran e Russia.

LA VITTORIA DEI TALEBANI
Il terzo scenario consiste nella una vittoria completa dei Talebani, sostenuti dal Pakistan e dall’Arabia Saudita. E’ probabile che l’Afghanistan ripiombi nel medioevo. La società civile è troppo debole per opporsi a tale involuzione. Questa volta i Talebani staranno attenti a non legarsi troppo al terrorismo internazionale, per evitare di venire nuovamente travolti da un intervento esterno, come fu il caso di quello americano del 2001.

SORTE INCERTA
Insomma, indipendentemente da chi risulterà vincitore nelle elezioni presidenziali, la sorte dell’Afghanistan è incerta. Una riconciliazione nazionale è difficile. Presuppone comunque che il nuovo presidente – al tempo stesso capo di Stato e di governo – goda di una legittimazione sostanziale. Solo così potrà farsi obbedire dalle forze di sicurezza, che in ogni caso rimarranno il pilastro portante dell’unità e stabilità del paese. Esse dispongono ormai di un’adeguata potenza di fuoco, ma sono divise dall’appartenenza etnica e tribale. Non hanno il completo controllo del territorio. Mille seggi – pari al 13% del totale – non sono stati aperti il 5 aprile per motivi di sicurezza. Gli attentati talebani si sono intensificati: ben centoquaranta nel giorno delle elezioni. Malgrado tutte queste difficoltà, si può ancora sperare che l’Afghanistan si stabilizzi. Perché tale speranza divenga realtà, è però indispensabile la continuazione della presenza occidentale e cospicui aiuti finanziari e militari, per influire sul comportamento dei vari gruppi in competizione fra loro per il potere e per la ricchezza.


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