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Renzi con il Def rottama un po’ il Pd

Proprio sicuri che il presidente del Consiglio sia anche il segretario del Pd? Dalle parti di Forza Italia il timore è che Matteo Renzi stia stritolando Silvio Berlusconi nelle spire di un riformismo spinto, i cui effetti sono tutti da verificare, ma che ai moderati può sembrare incisivo e convincente. Quindi la paura degli azzurri è che il premier stia vincendo contro di loro una sfida su idee, policy e, soprattutto, comunicazione.

Ma a guardare bene le scelte già fatte e quelle che il governo si appresta a varare, a preoccuparsi dovrebbe essere soprattutto il Partito democratico, contro il quale Renzi ha di fatto lanciato una sfida, meno alta, ma molto più efficace. Il quadro appare chiaro se si mettono nello stesso calderone le riforme istituzionali e le scelte di politica economica, lasciando da una parte tutti i temi che hanno monopolizzato il dibattito politico.

Nel Def si affida alla spending review di Carlo Cottarelli un compito gravoso, cercare 4,5 miliardi nel 2014, e poi un altra cinquantina di miliardi nel giro di due anni. Si colpiscono 30 mila centrali di acquisto che fanno crescere la spesa pubblica. Scelta che sottintende un giudizio preciso: a gonfiare i costi sono quasi sempre amministratori locali che favoriscono imprese amiche.

In embrione, dentro il Def, c’è anche una stretta sui manager delle Asl. Dirigenti, di nomina politica. Anche questi espressione delle federazioni regionali dei partiti. Nel menu di privatizzazioni e risparmi c’è la cessione delle ex municipalizzate. Idea vecchia, ma l’intenzione di cancellare altri poltronifici e consulentifici è chiara. Facile trarre le conclusioni: Renzi ce l’ha con i partiti strutturati, ramificati e radicati nel territorio. Quelli che hanno apparati rodati e non amano leader forti. L’identikit del Partito democratico.

Questa frattura sta diventando evidente con le riforme istituzionali. L’attenzione è stata fino ad oggi monopolizzata dalla riforma del Senato. L’unica a solleticare gli umori anti casta (con buona pace del Movimento 5 stelle che ancora punta sul bicameralismo perfetto). Vero che togliere 300 poltrone elettive significa fare del male a tutti i partiti, compresa Forza Italia. Ma il ridimensionamento di Palazzo Madama rischia di essere poca cosa – in termini di perdita di potere – rispetto alla scomparsa di decine di migliaia di caselle a disposizione dei partiti, possibile conseguenza del nuovo titolo V della Costituzione. Riforma messa in cantiere dal governo con un obiettivo dichiarato (eliminare i conflitti tra regioni e Stato) e uno più o meno nascosto (ridimensionare le regioni, alle quali la riforma federalista del 2001, voluta dalla sinistra, aveva dato poteri di spesa enormi, poche responsabilità e rimborsi a pie’ di lista).

Tra le materie che Renzi vorrebbe fare tornare allo Stato, la disciplina giuridica dei rapporti di lavoro nelle autonomie locali. Quindi chi e come assumere. Poi la “tutela della salute”. Se sarà la sanità, ad essere sottratta, in toto o in parte, alle regioni e passare in toto allo Stato, sarà il colpo definitivo per le élite locali e le strutture periferiche dei partiti. E l’unico partito ad averne ancora è il Pd.


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