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Anche il Lussemburgo ora vuole giocare “sostenibile”

Da paradiso fiscale a paradiso della sostenibilità. È forse un po’ presto per parlare di vera e compiuta metamorfosi. Ma il messaggio è pari a quello di una scoperta scientifica di rilievo storico: il Lussemburgo vuole proporsi come benchmark della «finanza sociale e inclusiva». Il segnale lanciato nei giorni scorsi dal Granducato conferma quanto la finanza sostenibile sia un fattore competitivo, al punto da imporre trasformazioni radicali anche alle piazze più discusse dell’economia mondiale.

Alla fine di marzo, nel cuore della finanza misteriosa dell’Europa (il Lussemburgo, va ricordato, fino a qualche mese fa, è stato “ufficialmente”, ossia senza remore e con l’etichetta applicata dell’Ocse, un paradiso fiscale; poi si è avviato un percorso per la “trasparenza”), è stata presentata InFiNe, acronimo che sta per Inclusive Finance Network. Il progetto è sostenuto da diverse organizzazioni, ed è stato illustrato da Ada, una ong lussemburghese attiva da vent’anni della microfinanza. Ma tra i fondatori della rete ci sono anche soggetti che spingono oltre il problema dell’”inclusione” (ossia di rendere accessibile la finanza anche ai soggetti più deboli), ovvero ci sono associazioni di categoria, società di revisione e di consulenza, nonché Luxemburg for Finance, ossia l’agenzia per lo sviluppo del centro finanziario. Inoltre, la presidenza della nuova associazione InFiNe è stata assegnata a un ex presidente del Comité de direction de la Bourse, Michel Maquil. Secondo gli osservatori, il progetto si pone l’obiettivo, appunto, anche con il coinvolgimento di soggetti pubblici, di posizionare il Lussemburgo sul piano dello sviluppo sostenibile attraverso la finanza responsabile.

È probabile che la metamorfosi avviata da InFiNe sia un processo piuttosto lungo a compiersi. Anche perché dovrà comunque scontrarsi con evidenti contraddizioni che ancora caratterizzano il centro finanziario lussemburghese. Tuttavia, la prima contaminazione sembra essere forte e profonda.

Del resto, sulla strada della sostenibilità ha già avuto la propria folgorazione un altro simbolo della finanza offshore, la Svizzera. Tra i caveau nascosti sotto le Alpi, la scorsa estate, due associazioni, la Sfg (Sustainable Finance Geneva) e la Tsf (The Sustainability Forum Zürich), hanno avviato un percorso per fare della Confederazione un centro di riferimento mondiale della finanza sostenibile.

Non a caso, dunque, nella City si comincia a considerare lo Sri (socially responsible investing) uno dei principali fattori competitivi per mantenere la leadership finanziaria. E non a caso, nelle scorse settimane, la World Federation of Exchanges (Wfe), associazione che raccoglie le principali Borse mondiali (non ci sono però Londra e Milano), ha dato vita al nuovo gruppo di lavoro sull’investimento responsabile e la sostenibilità.

Alla luce di tali spinte in avanti, diventa ancora più rilevante il ritardo del sistema finanziario italiano sulla tematica della sostenibilità. Come evidenziato dalle analisi su banche, reti di promotori, gestori e fondi pensione, ci sono in Italia parti del sistema (team, ricercatori, piccole divisioni) che iniziano a trattare la finanza secondo i criteri rella responsabilità ambientale, sociale e di governance. Ma si tratta di nuclei ancora non integrati strutturalmente nei propri gruppi. Non al punto da creare un vero e proprio mercato.

E, così, le opportunità di posizionarsi sulla finanza di domani vengono lasciate ai protagonisti della finanza di sempre.

 

 

 

 



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