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Eda, il futuro di una comune difesa europea. L’intervento di Camporini

È singolare come, nonostante le evidenze quotidiane e i richiami relativamente frequenti dei commentatori più accreditati, l’opinione pubblica non riesca ancora ad assimilare una piena consapevolezza dell’assoluta integralità della realtà, che solo ai fini dell’analisi può essere frammentata in settori e componenti, ma che sempre si muove come un tutto unitario. La famosa metafora di Edward Lorenz sintetizzata dal titolo della sua nota conferenza del 1972 “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?” è applicabile non solo a livello geografico o di evento storico, bensì al completo insieme della realtà e a livello organizzativo all’interazione tra tutti gli elementi che compongono qualsiasi struttura fino alle più complesse, inclusi gli Stati e le organizzazioni sovranazionali.

IL MINISTRO PINOTTI PROMUOVE LA SICUREZZA EUROPEA CON ITALIADECIDE. LE FOTO

Questa premessa che può apparire astratta e fuori tema è invece fondamentale anche per capire i meccanismi che regolano le relazioni all’interno dell’Unione Europea tra le diverse aree di competenza e di azione, così come gli effetti reciproci tra le componenti del sistema socio-economico di cui facciamo parte sia a livello nazionale che a quello globale. Per anticipare le conclusioni dirò che non si può pensare di predisporre un sistema integrato di sicurezza per il Mediterraneo se non si prendono in considerazione tutta una serie di elementi che possono all’inizio apparire estranei, ma che ad una analisi più approfondita si possono rivelare determinanti.

Fatta questa premessa di cui nel seguito vedremo la rilevanza, veniamo ad affrontare il tema del prossimo semestre di presidenza italiana dell’Unione, con specifico riferimento alle nuove frontiere della sicurezza europea. Al riguardo è bene mettere subito le mani avanti: sarebbe un grave errore caricare di aspettative questo periodo e questa responsabilità perché, come sempre, i risultati si potranno misurare in piccoli passi e grandi aspettative con modesti progressi generano inevitabilmente sentimenti di frustrazione pesantemente controproducenti. Molti osservatori infatti hanno già fatto notare le circostanze che contribuiscono a ridurre le opportunità di questa presidenza: un semestre ‘corto’, perché agosto è un non-mese e dicembre finisce non più tardi del 15, un semestre che vedrà l’insediamento del nuovo Parlamento, la formazione della nuova Commissione, la scelta del nuovo Presidente del Consiglio europeo e del nuovo Alto Rappresentante.

Ma c’è anche un motivo strutturale, addirittura istituzionale. Il Trattato di Lisbona ha inciso pesantemente sulla distribuzione dei poteri all’interno della complessa architettura dell’Unione, tant’è che oggi il Consiglio Europeo, per intenderci quello dei capi di Stato e di Governo, che detiene i poteri più pregnanti, è presieduto dal Presidente del Consiglio in carica e non vede un ruolo determinante della presidenza semestrale, mentre quest’ultima gestisce, con poteri meno importanti, il Consiglio dell’Unione europea, che si riunisce a livello ministeriale nei vari formati, dieci per la precisione, che vanno dall’Agricoltura e pesca, alla Giustizia e affari interni, ai Trasporti, telecomunicazioni ed energia, all’Ambiente, solo per citarne alcuni. C’è un’unica eccezione, molto significativa, costituita dal formato Affari esteri, che è presieduto dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, lasciando ancora meno spazio all’iniziativa del paese detentore della presidenza semestrale.

È da notare che dalle previsioni del trattato di Lisbona manca il formato Difesa. Non fu una dimenticanza, ma una precisa volontà già evidente fin dai lavori della Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing; al riguardo ebbi modo di chiedere dettagli all’On. Amato che della Convenzione era membro: la sua risposta, non priva di pepe, fu che la mancata previsione del ‘formato Difesa’ non avrebbe comunque proibito ai Ministri della Difesa di riunirsi ogni volta che l’avessero ritenuto opportuno. Vero, ma una cosa sono gli incontri istituzionalmente previsti, altro sono le riunioni non formali. Chiusa comunque questa parentesi, torniamo al tema. Si sono detti i motivi per cui è bene non caricare di eccessive aspettative questo ‘semestre’, ma paradossalmente, proprio perché nel periodo avvengono tutti gli avvicendamenti istituzionali, si possono aprire spazi inattesi, in quanto viene in qualche modo attenuata la rilevanza e quindi la capacità di iniziativa delle strutture di vertice: occorrerà sfruttare abilmente questo varco per affrontare questioni che fino ad ora non hanno ricevuto la dovuta attenzione. Vediamone alcune proprio in tema di PESC/PESD e specificamente in tema di sicurezza e difesa.

Il momento storico che stiamo vivendo presenta aspetti di incertezza e di mutevolezza che nessuno si sarebbe aspettato: il rapporto con la Russia, pur nei suoi alti e bassi, pareva avviato verso una progressiva crescita della collaborazione, favorita anche dalla crescente integrazione dei reciproci interessi industriali, commerciali e finanziari, il che avrebbe, anche se nel lungo periodo, portato ad una progressiva armonizzazione se non ad una integrazione delle politiche; anche per quanto riguarda il Medio Oriente allargato si potevano intravvedere spazi per un’azione se non comune, almeno convergente verso specifici obiettivi condivisi, con risultati concreti, come lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano.

Ma l’esplodere della crisi ucraina ha mutato radicalmente le prospettive, evidenziando come esistano vistose lacune nelle politiche dei paesi europei e di conseguenza dell’Unione nel suo complesso; il tutto con un’inattesa rivitalizzazione del ruolo dell’Alleanza Atlantica che, alla fine della stagione delle missioni ‘fuori area’ sembrava avviarsi verso un modesto ruolo di ‘tool box’, cioè una sorta di deposito di strumenti cui attingere in caso di necessità, una struttura che avrebbe garantito un adeguato livello di interoperabilità e di addestramento comune e compatibile, ma i cui compiti operativi diretti si sarebbero fortemente ridimensionati; occorre però sottolineare che per ora si tratta di una rivitalizzazione concettuale, che vive negli auspici di qualche membro dell’Alleanza e non di tutti; al contrario, il trend di bilancio dei maggiori partner è in forte discesa, e questo vale in primis per gli Stati Uniti, che stanno pianificando una sostanziale riduzione delle loro forze di terra a un totale di 490mila effettivi, mai così pochi dalla fine della guerra fredda.

Da questo quadro emerge chiaramente l’esigenza di un salto di qualità per il sistema politico europeo, che deve trovare nuove forme di coesione in primo luogo nella consapevole condivisione della situazione strategica e nella definizione di nuove modalità e di strumenti reciprocamente compatibili per una gestione appropriata delle crisi, crisi che con ogni evidenza si possono manifestare anche sulla soglia di casa e che, se non altro per le conseguenze umanitarie, rischiano di avere effetti negativi diretti anche all’interno dei confini dei paesi dell’Unione.

Ecco una prima grande opportunità per il semestre di presidenza italiano: la riscrittura e l’approvazione di un ‘Concetto Strategico dell’Unione Europea’ che non sia una rivisitazione di quello del 12 dicembre 2003 (e del successivo maquillage del 2008), ma che ripensi in modo sostanziale il ruolo che l’Europa vuole giocare in un quadro in profonda rapida mutazione, definendo con chiarezza anche una roadmap ed un calendario di scadenze per realizzare nel concreto una reale capacità d’azione, con le modalità proprie dell’Unione, e quindi con la giusta enfasi sulla corretta combinazione di soft con hard power.

Il comprehensive approach, ormai diventato un mantra nella dottrina comunemente accettata, è in realtà nel DNA dell’Unione, che ha tutti gli strumenti concettuali per concretizzarlo, ma ha ancora una lunga strada da percorrere per averne la reale capacità. Nel suo semestre di presidenza, dunque, l’Italia ha l’opportunità di avviare questo processo, facendo anche tesoro del prezioso lavoro svolto da quattro think tank, uno polacco, uno svedese, uno spagnolo ed uno italiano, che, su mandato dei rispettivi ministeri degli Esteri, hanno svolto lo scorso anno, producendo un documento di grande interesse “Towards a European Global Strategy”.

IL MINISTRO PINOTTI PROMUOVE LA SICUREZZA EUROPEA CON ITALIADECIDE. LE FOTO

Rispetto al 2003 il mondo è cambiato in modo radicale e senza un testo che costituisca la base concettuale per una PESC/PESD efficace e condivisa, sarà molto difficile, per non dire impossibile articolare un percorso che conduca ad ottimizzare gli sforzi per un impiego razionale ed efficace delle risorse. Tenuto conto del lavoro concettuale già svolto, non dovrebbe essere difficile produrre in poche settimane una bozza che nel corso del semestre possa essere condivisa e perfezionata, rispettando rigorosamente la natura intergovernativa della materia, per una prima benedizione al vertice di fine anno: le resistenze e le pigrizie del passato anche recente potrebbero infatti essere superate grazie all’incalzare degli eventi, consentendo un’armonizzazione delle politiche nazionali finora impossibile da ottenere.

Uno dei punti focali dovrà essere un rinnovato rapporto con l’Alleanza Atlantica, che superi le latenti rivalità in modo da rendere davvero sinergiche le rispettive capacità ed azioni. In questo quadro, al fine di evitare la paralisi dovuta a veti incrociati, è necessaria un’iniziativa determinata volta a recuperare la relazione con la Turchia: è tempo che l’Unione eserciti tutta la sua influenza per risolvere una volta per tutte la questione cipriota in modo da disinnescare il contenzioso che ha finora impedito un’efficace cooperazione tra Nato e Ue. Un passo utile in tal senso potrà essere la definizione di modalità che consentano una qualche forma di partecipazione della Turchia alle attività dell’Agenzia Europea della Difesa.

Proprio sull’Eda dovranno concentrarsi molte attenzioni da parte italiana durante il semestre di presidenza perché, pur con tutti i suoi difetti strutturali, l’Agenzia può rivelarsi lo strumento chiave per compiere significativi progressi per le capacità operative dei singoli stati membri e dell’Unione nel suo complesso. All’ultimo vertice dello scorso dicembre si è fatto qualche timido passo in avanti, con l’approvazione di una serie di progetti e compiti certamente necessari, ma assolutamente insufficienti, in quanto anche le decisioni più concrete mancano di un solido quadro di riferimento e di un concreto ancoraggio a finalità tangibili.

Si prenda ad esempio l’iniziativa per lo sviluppo di un drone europeo della categoria MALE (Medium Altitude Long Endurance), certamente utile, anzi indispensabile per favorire l’aggiornamento tecnologico dell’industria aeronautica europea, ma presentato quasi in astratto, con un generico riferimento all’intrinseca dualità, militare e civile, di un mezzo del genere. Si provi invece ora ad esaminare la valenza che tale progetto potrebbe acquisire se fosse un elemento di un ben più ampio sistema di sorveglianza e controllo degli spazi marittimi, quanto meno a livello regionale, replicando appunto per il traffico navale quanto da quasi settanta anni si fa per il traffico aereo: è infatti davvero sorprendente che nel XXI secolo non si sia ancora voluto disegnare e realizzare una struttura in grado di seguire in tempo reale i movimenti del naviglio, quanto meno al di sopra di un certo tonnellaggio di stazza, e non sia possibile sapere a priori per ogni unità il porto di partenza, quello di arrivo, il carico, la rotta.

La messa in opera di un sistema del genere creerebbe une serie di straordinarie opportunità sia dal punto di vista industriale, mettendo a frutto tecnologie già disponibili e stimolando lo sviluppo di nuove, sia dal punto di vista gestionale, sia da quello della sicurezza, consentendo interventi molto più tempestivi ed efficaci a salvaguardia della vita umana, sia da quello della lotta ad ogni traffico illecito, di droga come di armi, come di esseri umani. Un progetto di grandi dimensioni sia strutturali che finanziarie, a similitudine di quanto l’Unione sta facendo con Galileo, che peraltro dovrebbe essere pienamente integrato in questo sistema di controllo. Si tratterebbe di un sistema architetturale assai importante, un sistema peraltro aperto, in modo da potervi integrare diverse componenti che via via si rendessero disponibili e che davvero potrebbe costituire un potente motore per avanzamenti tecnologici di grande portata e che d’altro canto potrebbe fornire una precisa indicazione su dove indirizzare le risorse per la ricerca e lo sviluppo, che oggi rischiano di essere di essere disperse in svariati rivoli non sempre congruenti ed in base più alla capacità lobbistica dei diversi gruppi di interesse che a un organico disegno globale.

Si tratterebbe dunque di un secondo ampio dossier da aprire durante il nostro semestre dopo quello della riscrittura del ‘Concetto Strategico’, un dossier peraltro aperto e integrabile con iniziative di valenza davvero duale: un’idea fra tante potrebbe essere quella della messa in opera di un sistema Airborne Early Warning europeo. Si tratta di una capacità in cui fino ad oggi l’industria europea non si è cimentata, se si esclude Erikson con il suo sistema Erieye, montato generalmente su piattaforme SAAB (Embraer per il Brasile), che oggettivamente si situa in un’area prestazionale piuttosto modesta; è una capacità che vede in effetti, nel mondo occidentale, un quasi monopolio Usa, con Boeing e Northrop Grumman in prima fila.

Eppure le capacità potenziali dell’industria europea esistono, sia in termini di piattaforma, con Airbus, sia in termini di sensoristica, basti solo pensare alle prestazioni davvero straordinarie del sistema di radar imaging costituito dalla costellazione satellitare Cosmo Skymed. Potrebbe essere questo un nuovo grande progetto da mettere in cantiere, un progetto con finalità esplicitamente duali per conseguire una reale situational awareness in tempo reale sia dei movimenti di superficie, sia di quelli nello spazio aereo e che avrebbe tra l’altro il grande pregio di costituire un prezioso contributo europeo alle capacità NATO, oggi affidate ai vetusti Boeing E3 della forza NAEW, già ridotti a 12 dagli originali 18, e la cui vita operativa sta per volgere al tramonto, e agli altri E3 delle forze aeree francesi e britanniche, anche questi che denunciano gli acciacchi dell’età.

Come si può vedere, lo spazio per iniziative di grande respiro esiste e si tratta di iniziative che davvero possono attirare gli interessi degli stati membri, sia per il soddisfacimento di reali esigenze, quali quella del controllo degli spazi marittimi, sia per il forte stimolo che ne deriverebbe per il mantenimento di un’adeguata base tecnologica industriale europea, essenziale per la salute del tessuto anche sociale dell’Unione. Iniziative, peraltro, che proprio per la loro natura duale possono trovare le convergenza delle istituzioni europee, da un lato l’area comunitaria, con il pieno coinvolgimento della Commissione, dall’altro quella intergovernativa con il ruolo propulsore che potrebbe essere assunto dall’Agenzia Europea della Difesa.

Proprio sul potenziamento di quest’ultima dovrebbe concentrarsi l’attenzione della presidenza italiana: l’EDA, infatti può assumere un ruolo determinante solo se adeguatamente potenziata e alimentata; finora infatti, con vari pretesti, ma con motivazioni di fondo di tipo politico, l’Agenzia, nata con grandi aspirazioni nel 2003, ha goduto di finanziamenti assai modesti, poco più di quanto serve al proprio funzionamento, senza disporre delle risorse necessarie per progetti di ampio respiro. Per inciso, si potrebbe aprire l’opportunità per la designazione al suo vertice di una personalità italiana, che potrebbe succedere all’attuale direttore francese, l’ottima Claude- France Arnould. L’Eda ha anche la caratteristica di essere sottoposta ad uno Steering Committee formato dai Ministri della Difesa degli stati membri ed ha quindi la potenzialità per costituire la sede formale di riunione negata dalle previsioni del Trattato di Lisbona cui si è precedentemente fatto cenno.

Quanto finora esposto mi pare dia ampia giustificazione alle considerazioni iniziali circa la stretta interconnessione tra tutti gli elementi di un sistema, interconnessione che rende necessarie iniziative su diversi piani, da quello concettuale, la scrittura di un nuovo concetto strategico, a quello politico, con un recupero del rapporto con la Turchia, a quello programmatico, per l’avvio di un nuovo grande progetto finalizzato alla sicurezza in tutte le sue accezioni sia quella di safety che di security, a quello industriale per un forte impulso all’avanzamento tecnologico utilizzando tutte le aree di disponibilità dell’Unione, infine a quello istituzionale, con la concretizzazione delle finalità originarie dell’Agenzia Europea della Difesa. Un vasto programma, si potrebbe dire, per la presidenza semestrale italiana, ma un programma per il quale vale la pena di lavorare.

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