Le elezioni presidenziali algerine di oggi non hanno attirato molto l’attenzione dei media italiani. Eppure l’Italia ha importanti rapporti con l’Algeria, il più esteso Paese africano e il secondo, per popolazione, dell’intero mondo arabo. Dipendiamo dal gas algerino per oltre un terzo dei nostri consumi. Siamo il primo importatore e il secondo-terzo esportatore in Algeria, dopo la Cina e la Francia.
IL GAS ALGERINO
L’importanza del gas algerino è destinata ad aumentare, non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa, a seguito della crisi ucraina e della volontà di ridurre la dipendenza dalla Russia. La possibilità e la convenienza di realizzare una maggiore sicurezza energetica con l’importazione di gas liquido dagli USA è discutibile. L’apporto che potrà essere dato dal gas del Bacino Levantino, da avviare in Europa con gasdotti tramite Cipro e la Grecia, richiederà anni, prima di divenire significativo. Invece, con cospicui investimenti, per potenziare le stazioni di pompaggio dei gasdotti sottomarini, che già collegano l’Italia e la Spagna con l’Algeria e per valorizzare i giacimenti algerini, potranno aumentare le forniture di gas all’Europa, anche senza tener conto del gas nigeriano, che affluirà in Algeria e di qui in Europa, qualora venisse realizzato il gigantesco gasdotto trans-sahariano.
UN DUPLICE MOTIVO
Il motivo dello scarso interesse per le elezioni presidenziali algerine è duplice. In primo luogo, il loro esito è scontato. Non dovrebbero esserci sorprese. Il presidente algerino Abdelziz Bouteflika, al potere dal 1999, vincerà certamente il suo quarto mandato. In secondo luogo, malgrado talune manifestazioni di dissenso e il boicottaggio delle elezioni raccomandato da tutti i partiti dell’opposizione e le ricorrenti tensioni esistenti fra la maggioranza araba e la minoranza berbera (un quarto dei quasi 40 milioni di algerini), non si sono verificati episodi particolarmente eclatanti, che i media non avrebbero mancato di spettacolizzare.
UN’OASI DI PACE?
L’Algeria appare un’oasi di pace in Nord Africa, nella tempesta scatenata dal “risveglio arabo”. Il presidente Bouteflika, oggi vecchio e malato, è stato un eccellente mediatore. E’ riuscito a realizzare nel Paese un elevato livello di riconciliazione nazionale, a cui ha contribuito anche la Comunità di Sant’Egidio, con la sua mediazione fra gli islamisti e gli “éradicateurs”. Il partito islamico è moderato e collabora con il governo. I terroristi dell’AQIM sono marginali e confinati nelle montagne della Cabilia e in quelle del Sud del Paese, ai confini con il Mali. Quelli che hanno effettuato l’attentato al complesso di trattazione del gas di Ain Amenas provenivano da basi esterne. Il modo con cui sono stati spietatamente eliminati dalle forze algerine di sicurezza, senza tener molto in conto della vita degli ostaggi, costituisce un efficace deterrente ad altri attentati.
CHI GOVERNA IL PAESE
Il Paese è sotto il controllo delle Forze Armate, del Fronte Nazionale di Liberazione, che governa il Paese dall’indipendenza del 1962, e della potente Direzione Informazioni e Sicurezza (DRS), retta dal 1990 da Toukfir, come viene chiamato il generale il suo capo Mediene. Dopo il presidente, egli è senza dubbio l’uomo più potente dell’Algeria, ispiratore dell’intervento dell’esercito per impedire nel 1992 la vittoria elettorale del partito islamista (FIS). Ha diretto con estrema durezza la repressione nella lunga guerra civile, costata da 100 a 200.000 morti. I suoi rapporti con Bouteflika si sono ultimamente guastati. Di certo, la ragione consiste nelle tensioni connesse con la successione del vecchio e malato presidente.
IL POTERE DI BOUTEFLIKA
Il potere di Bouteflika è derivato dalle sue eccellenti capacità di mediazione fra le forze che contano in Algeria: i militari da un lato e la DRS dall’altro. Bouteflika, primo presidente algerino non proveniente dall’esercito, era stato stretto collaboratore del secondo presidente algerino, il colonnello Boumedienne. Il Fronte Nazionale di Liberazione (FLN), dominato dagli arabi e che sostiene il presidente, è al centro del sistema sia formale sia reale del potere. L’ideologia che lo ispira è il social-nazionalismo arabo. E’ stata influenzata dagli stretti legami con l’URSS esistenti dall’indipendenza, mantenuti, soprattutto, nel campo delle forniture di armi. Formalmente, le Forze Armate dipendono da civili, appartenenti all’élite dirigente del FLN.
AL DI SOPRA DELLE PARTI
Di fatto, lo sono direttamente dal presidente, che si sforza di rappresentarle come un’istituzione al di fuori e al di sopra delle parti, spoliticizzata legata alla Nazione più che al governo. La DRS, invece con l’alquanto misterioso capo, Toukfir – che è berbero e addestrato nell’Accademia del KGB – è stata utilizzata dal presidente, sin dalla sua prima elezione nel 1999, per controllare le varie forze politiche del Paese e l’intera società algerina. Bouteflika si è avvalso del potere investigativo che ha la DRS su tutto il Paese e del sostegno della magistratura, per eliminare avversari scomodi, generalmente, come si fa in tutti i paesi, con l’accusa di corruzione ma anche con la loro eliminazione fisica.
LA TERZA CANDIDATURA
La DRS – che nel 2009, aveva sostenuto la terza candidatura di Bouteflika alle presidenziali – è contraria a un quarto mandato presidenziale. Non si capisce esattamente che cosa sia avvenuto. I motivi sono oscuri, ma non troppo. Il presidente aveva l’anno scorso ridimensionato, almeno formalmente, gli enormi poteri della DRS. Taluni suoi settori erano passati alle dipendenze dello Stato Maggiore Generale. Verosimilmente Bouteflika – o il “cerchio magico” che lo circonda e che è guidato dal fratello Said – aveva ritenuto che la DRS si fosse troppo “allargata”. Nessuno conosce – forse neppure gli algerini più vicini alla stanza dei bottoni – quale sia la realtà. Il generale Mediene è restato al suo posto. La rete della DRS, diffusa in tutta la società algerina, è rimasta intatta.
MOLTI PROBLEMI
L’Algeria, salvatasi dal ciclone della “primavera araba”, conosce grandi problemi sociali ed economici. Due terzi della popolazione hanno meno di trent’anni. La disoccupazione è elevata. Metà dei prodotti alimentari deve essere importata. La burocrazia e la corruzione sono soffocanti. La dipendenza dalla rendita petrolifera è eccessiva. Essa ha però consentito di contenere il dissenso con generosi sussidi per i generi di prima necessità, il cui importo complessivo è pari a quasi il 20% del bilancio statale. Le infrastrutture energetiche richiedono poi consistenti ammodernamenti. Li possono fare solo i grandi gruppi petroliferi. L’Algeria ha infine risentito della crisi economica in Europa.
IL NODO DELLA SUCCESSIONE
Come accennato, le elezioni presidenziali non riserveranno grandi novità. Più rilevante è il problema della successione del presidente. Non è detto che un successore sia in condizione di tenere assieme i pilastri dell’attuale regime, tanto diversi e conflittuali fra loro. Esiste il rischio di una violenta contrapposizione fra le varie fazioni già in lotta per il potere e la ricchezza, in particolare fra le Forze Armate e i Servizi di Sicurezza. Essa indebolirebbe entrambi. Ne potrebbero approfittare gli islamisti. Potrebbe destabilizzare anche la Tunisia, unico Paese della “primavera” che sembra avviarsi verso una pacifica stabilizzazione. L’Algeria sembrava vaccinata dal radicalismo per i ricordi dei dieci anni della terribile guerra civile, seguita all’intervento delle Forze Armate per annullare, nel 1992, le elezioni stravinte dal Fronte Islamico della Salvezza.
C’è quindi da augurarsi un grande successo del presidente. Solo così egli potrà procedere a un’ordinata successione. La cosa è troppo importante, per noi e per l’intera Europa, per storcere il naso di fronte a taluni aspetti poco chiari della campagna e del processo elettorale.
CRITICHE IRRILEVANTI
Ritengo del tutto irrilevanti le critiche sulla scarsa democraticità e trasparenza delle elezioni. Esse hanno indotto l’opposizione e gli altri cinque candidati alle presidenziali a invitare i loro simpatizzanti a non recarsi alle urne e a definirle una carnevalata. Sarà invece importante per fare previsioni sul futuro dell’Algeria non tanto la percentuale di voti favorevoli al quarto mandato di Bouteflika, quanto quella dei votanti rispetto agli aventi diritto al voto. Le battute di spirito di chi critica l’appoggio europeo ad un regime sicuramente non democratico, come quello algerino, per opporsi all’autoritarismo di Putin, non tengono conto delle realtà geopolitiche dell’Europa, con le quali non si può scherzare più di quel tanto. Esse devono fare premio sui “buoni sentimenti” o sulle fantasie irrealistiche di democratizzazione di un Paese, abbastanza pacificato per merito di Bouteflika, ma che esce da una terribile guerra civile.