Per chi lavorano i “mejo” lobbisti americani? Semplice: Google. Il colosso del web e dell’innovazione da qualche anno non ne sbaglia una. Merito anche di una strategia di lobbying mirata, efficace, aggressiva (quando serve) e sempre puntuale.
(1) Guardate qui. Google ha puntato anzitutto sugli investimenti in public affairs. Nel 2003 l’azienda era ben oltre la centesima posizione tra i top spenders. Appena 10 anni dopo è nella top 10, piazzandosi quarta per spesa complessiva. La professionalità si paga:
(2) Assieme alla capacità di reclutare i migliori lobbisti e metterli in condizione di usufruire di budget faraonici, Google ha capito l’importanza della politica nazionale. Il secondo passo della strategia di lobbying è stato investire sulle donazioni elettorali:
(3) Terzo passaggio della strategia è stata la creazione di un solido network di pensiero. Finanziando università, centri di ricerca, think tank, Google ha alimentato un dibattito vivace sui temi dell’innovazione e della tecnologia, e nel contempo si è garantita un posizionamento di immagine e reputazione niente affatto trascurabile. Se oggi il settore del “civic tech” cresce al ritmo del 23% l’anno, è merito anche degli investimenti dell’azienda:
è il caso di dire, una volta ancora, che PR per “pranzi e ricevimenti” non basta più. Il lobbying è sempre più parte integrante di una strategia aziendale complessiva. Pensarlo, prima di metterlo in pratica, è un dovere di qualsiasi imprenditore.