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In (mala) fede

Io sono arrivato ad ammirare coloro che, all’occorrenza, sappiano andarsene e rifiutare il dialogo – di conseguenza, non accuserei mai i seguaci di Grillo, riguardo alla loro volontà di non frequentare le arene televisive. Sarò diventato un intollerante? Spero di no. Un maleducato? Chissà.

Ma siamo sicuri che sia così illiberale, aggressivo e strafottente il comportamento di chi, semplicemente, non si senta più disposto a dilapidare il proprio tempo? Sembra, spesso, che l’obiettivo di alcuni sia quello di impegnare altri nell’interminabile dibattere sull’insensato: auspicabile, una volta che tale intenzione sia stata avvertita, che le vittime del violento giochino abbandonino il campo, per non darla vinta a quegli strani carnefici.

Secondo Nicola Chiaromonte, il fenomeno che caratterizzava l’età presente era il dilagare della malafede: guarirne mi sembra un compito che va al di là della nostra durata. Inoltre, chi tentasse di addebitarla ai propri avversari verrebbe squalificato: presupporre la buona fede dei dialoganti è la condizione di possibilità di un confronto civile, no? Peccato che sia anche quella del trionfo del nichilismo, della vittoria di chi aspiri alla teatralizzazione verbale del nulla. La via stretta della democrazia sta in mezzo a questi due ravvicinati estremi.

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