Rappresenta una sorta di simbolo della glasnost dell’apparato dello Stato, dell’intelligence e della sicurezza di cui è tra i massimi esperti nel mondo politico. L’Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica Marco Minniti può essere annoverato tra gli ispiratori della direttiva del premier che abroga il segreto di Stato su tutti gli atti relativi alle stragi e alle pagine oscure della storia repubblicana. Una mole di testimonianze documentali finora coperte dal vincolo di assoluta riservatezza e che verranno trasmesse alla conoscenza di studiosi e cittadini.
SVOLTA STORICA
Un passaggio importante, ha spiegato l’esponente dell’esecutivo in un’intervista a Repubblica: “Perché una democrazia forte è in grado di guardare con serenità alle sue pagine più drammatiche. Soltanto così preserva la memoria e evita altri orrori”. Tesi sviluppata su Europa, in cui parla della “più rilevante opera di de-classificazione mai realizzata dal dopoguerra”. Nessun filtro né ostacoli alla ricerca della verità. Come conferma al Sole 24 Ore, “non ci saranno limiti o zone franche nella trasmissione all’Archivio di Stato degli atti classificati”.
LE RADICI POLITICHE
La pervicacia con cui il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’intelligence ha voluto perseguire un obiettivo di tale trasparenza si può comprendere analizzando la sua formazione politica. Nato a Reggio Calabria nel giugno 1956 e laureato in filosofia, inizia l’attività pubblica nel 1986 quando entra a fare parte della Commissione problemi del lavoro e dell’economia del Partito comunista. Leader regionale del PDS nel 1992, 4 anni più tardi ne assume il ruolo di coordinatore nazionale per essere nominato segretario organizzativo dei DS nel 1998.
Risale a questa stagione la profondo amicizia con l’ex primo cittadino della città dello Stretto Italo Falcomatà, protagonista della “Primavera della città” contro la depressione economica e il predominio mafioso prima della prematura scomparsa avvenuta nel 2001.
INTERVENTISTA DEMOCRATICO
Legato a Massimo D’Alema di cui apprezza l’aspirazione a trasformare il partito in una forza riformista ancorata al socialismo europeo, è designato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi per le informazioni e la sicurezza nel governo guidato dall’esponente post-comunista. Nel 1999, durante la crisi del Kosovo, riveste l’incarico di coordinatore del Comitato interministeriale per la ricostruzione dei Balcani e si schiera con nettezza a favore dell’intervento militare della Nato in nome del “diritto-dovere di ingerenza umanitaria” per fermare i massacri e la pulizia etnica perpetrata dal regime serbo di Slobodan Milosevic contro la popolazione albanese.
Legittimità del ricorso alla forza come extrema ratio ribadito nel 2001 per l’Afghanistan dei Talebani e di Al-Qaeda e nel 2011 per la Libia di Muammar Gheddafi. Una realtà, quella nordafricana, che Minniti ritiene strategica l’interesse politico-economico e la proiezione mediterranea dell’Italia.
L’AVVICINAMENTO A VELTRONI
Eletto deputato per la prima volta nelle elezioni del maggio 2001 dopo un’esperienza di vice-ministro della Difesa nel secondo esecutivo guidato da Giuliano Amato, trascorre 5 anni tra i banchi dell’opposizione. Ritorna al governo nel 2006 con l’Unione di Romano Prodi, per la quale ricopre il ruolo di vice-responsabile dell’Interno affrontando le emergenze riguardanti le infiltrazioni della criminalità organizzata nella sanità calabrese e gli sbarchi di immigrati clandestini sulle coste siciliane.
Una svolta politica di rilievo avviene con le elezioni primarie dell’ottobre 2007 per la leadership del neonato PD, vinte trionfalmente da Walter Veltroni. Conquistata nella stessa tornata la carica di segretario del Partito democratico in Calabria, Minniti aderisce alla visione di “forza riformatrice e plurale a vocazione maggioritaria” prospettata dall’ex primo cittadino di Roma. Il quale lo sceglie come responsabile sicurezza del Nazareno e poi “ministro ombra dell’Interno”. Funzioni che gli vengono confermate da Dario Franceschini.
IL PENSATOIO INFLUENTE
Risale al 2009 un’altra tappa cruciale nel suo percorso politico-istituzionale. Partecipa alla creazione della “Fondazione ICSA”, Intelligence Culture and Strategic Analysis. Un “pensatoio multipartisan” di analisi ed elaborazione culturale che si prefigge di studiare in forma innovativa i temi della sicurezza, della difesa, dell’intelligence in stretta correlazione con i fenomeni criminali italiani e globali, con le sfide tecnologiche e le minacce cibernetiche, con le trasformazioni del terrorismo internazionale.
Realtà che lo vede rivestire il ruolo di presidente, con l’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga presidente onorario. E che vanta nel board scientifico militari come Leonardo Tricarico, Carlo Cabigiosu, Vincenzo Camporini, Giampaolo Ganzer, Fabio Mini, Sergio Siracusa; politici come Paolo Naccarato; giornalisti come Giovanni Santilli e Carlo Panella; studiosi di geopolitica come Andrea Nativi; magistrati come Giancarlo Capaldo e Stefano Dambruoso; diplomatici come Giovanni Castellaneta; giuristi come Andrea Monorchio; economisti come Paolo Savona.
L’ADESIONE ALLA CAMPAGNA DI RENZI
Nel voto politico del febbraio 2013 viene eletto a Palazzo Madama come capolista PD nella circoscrizione Calabria. Grazie all’esperienza maturata a livello partitico e alla guida del think-tank, il senatore è scelto da Enrico Letta quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti.
Una veste che lo allontana dalle riunioni del Nazareno. Ma che non gli impedisce di partecipare alle primarie democratiche di novembre-dicembre, in cui aderisce con convinzione alla campagna di Matteo Renzi.
Nel corso della Direzione nazionale del PD di gennaio evidenzia “l’appannamento dell’immagine dell’esecutivo Letta”, promuove il confronto con Silvio Berlusconi sulle riforme, opta per l’ascesa a Palazzo Chigi dell’ex fautore della Rottamazione. Nella nuova squadra di governo ottiene la riconferma alla guida dell’Autorità per la sicurezza della Repubblica, nonostante il suo nome sia in ballottaggio con Luca Lotti, fedelissimo dell’ex sindaco di Firenze.
IL RUOLO DELLA CYBERSECURITY
Nel delicato ruolo istituzionale Minniti sviluppa un’iniziativa puntuale e ad ampio raggio sui dossier più scottanti attinenti all’intelligence.
Parla della lotta al cybercrime come opportunità di leadership e leva di crescita economica. Guardando agli Stati occidentali in trincea nella ricerca innovativa per la salvaguardia dei comparti industriali strategici, il parlamentare esorta a incoraggiare il processo di democratizzazione nei paesi del Nord Africa: “Pensiamo ai risvolti energetici vitali per un’Italia che dipende dall’estero per le fonti di riscaldamento”.
Preannuncia entro la fine dell’anno un Piano nazionale basato sulla cooperazione tra Dipartimento per la sicurezza e mondo delle imprese per respingere le incursioni telematiche. E spiega che, grazie a un rigoroso accordo con il Garante per la privacy, non vi è il rischio di sorveglianza massiccia e indiscriminata con la violazione della riservatezza dei dati personali.
CONIUGARE SICUREZZA E LIBERTA’
Riguardo al programma di spionaggio “Prism” messo in atto dalla National Security Agency Usa, Minniti esclude che i servizi segreti italiani fossero a conoscenza delle registrazioni illegali e che le comunicazioni effettuate nel territorio nazionale siano state intercettate dall’agenzia statunitense.
Ma è persuaso che lo scandalo Datagate costituirà lo spartiacque di un’epoca. Nella quale, dopo gli eccessi del controllo elettronico, si proverà a conciliare sicurezza e libertà proteggendo i cittadini dal rischio attentati in un mondo “apolare” e nella cornice di un rapporto leale tra le due sponde dell’Atlantico.
È riassunta in queste parole la scommessa di una nuova intelligence, più “aperta” e a misura di cittadino senza trascurare gli interessi nazionali: “Perché il mondo dei servizi non può essere una giungla in cui tutto è consentito”.