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Wojtyla e Roncalli, i due santi all’ombra del Concilio che fanno borbottare i tradizionalisti

Due papi insieme dichiarati santi è un evento già di per sé storico. Quello che è accaduto domenica 27 aprile, però, assume una valenza ancora maggiore, perché sullo sfondo della solenne (ma sobria) celebrazione in piazza San Pietro ci sarà l’ombra del Concilio ecumenico Vaticano II. Una delle prime decisioni di Francesco, all’inizio della scorsa estate, è stata quella di dare il via libera alla canonizzazione del Papa che il Concilio l’ha aperto e di quello che – usano dire gli storici – l’ha recepito e attuato.

SANTO SENZA MIRACOLO

Il Pontefice argentino ha voluto che assieme a Giovanni Paolo II, già beatificato a tempo di record nel 2011 da Benedetto XVI, fosse fatto santo anche Angelo Roncalli, benché mancasse l’accertamento del miracolo canonico.

L’IRA DEI LEFEBVRIANI CONTRO LA DOPPIA CANONIZZAZIONE

A Francesco poco interessava, l’obiettivo era di canonizzare pro gratia l’iniziatore del Vaticano II, che sovente ritorna nei discorsi del Pontefice argentino. Non è un caso che la doppia canonizzazione abbia mandato su tutte le furie i vertici della Fraternità di San Pio X, i lefebvriani. In un messaggio diffuso ai membri del gruppo che ha sede ad Econe, il superiore mons. Fellay ha scritto che questa celebrazione “porrà alla coscienza dei cattolici un duplice dilemma”. In che cosa consista, lo spiega subito dopo: “Come sarà possibile proporre a tutta la chiesa come esempi di santità, da una parte l’iniziatore del Concilio e dall’altra il Papa di Assisi e dei diritti dell’uomo?”. Non solo, ma Fellay sottolinea che “il dilemma più grave consisterà nel dare pubblicamente una sorta di riconoscimento di autenticità cattolica senza precedenti a un tale Concilio: come sarà possibile garantire con il sigillo della santità i suoi insegnamenti che hanno ispirato tutta la condotta di Karol Wojtyla e i cui frutti nefasti sono l’indice inequivocabile dell’autodistruzione della chiesa?”.

I TRADIZIONALISTI IN CAMPO: E PIO XII?

Al di là della scontata e marginale posizione del gruppo scismatico fondato dal vescovo Marcel Lefebvre, anche i settori cattolici più legati al tradizionalismo non sembrano entusiasti della decisione di Francesco, soprattutto perché mentre Roncalli e Wojtyla sono stati elevati all’onore degli altari in tempi relativamente brevi (per Giovanni XXIII l’iter, dopo una lunga gestazione, è stato accelerato negli ultimi quindici anni), non così è andata per Pio XII, l’ultimo Pontefice pre-conciliare.

VERSO LA BEATIFICAZIONE DI PAOLO VI

E che la direttrice sia ormai tracciata, l’ha detto recentemente in un’intervista al Foglio anche lo storico Andrea Riccardi, il quale ha ricordato che nella mente di Francesco c’è anche la beatificazione di Paolo VI, colui che si trovò a gestire e chiudere l’assise ecumenica. Ha scritto Paolo Rodari su Repubblica del 24 aprile che la canonizzazione di Roncalli “dice molto a proposito di quale modello Francesco auspica che la chiesa segua”.

L’AFFINITA’ TRA BERGOGLIO E RONCALLI

Dunque, prosegue il vaticanista, “non solo il trascinatore di folle che, in un mondo di conflitti planetari che chiedevano liberazioni spirituali, sociali e politiche, combatteva per trovare alla chiesa un suo spazio d’incidenza, ma anche il Pontefice più vicino a un’altra sensibilità, quel pastore che diceva di volere una chiesa madre di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia, anche verso i figli da lei separati”. Giovanni XXIII spiegava, inoltre, “che la gran medicina deve essere la misericordia”. Chiara, dunque, l’affinità tra il Papa di Sotto il Monte e il gesuita argentino succeduto a Benedetto XVI. E che al centro di tutto ci sia il Concilio, lo nota anche Rodari: “Se ne facciano una ragione – sembra voler dire ora Bergoglio – tutti quei profeti di sventura per i quali il rinnovamento che è stato il Concilio porterebbe la barca di Pietro al naufragio”.


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