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Ucraina, le strategie di Obama e Putin a confronto

L’Occidente, in particolare gli USA di Obama, sembrano surclassati in Ucraina dalla strategia e dalla capacità di “zar Vladimir” di utilizzare in modo coerente e flessibile una ricca pluralità di strumenti, di tecniche e di tattiche. L’Occidente si trova disarmato. È in una situazione di stallo. Forse non è ancora scacco matto. La situazione potrebbe rovesciarsi. L’iniziativa potrebbe essere tolta al Cremlino. È però difficile. Putin non può ritirarsi. Il suo prestigio politico è in gioco. Si gioca la faccia. Per i politici europei e americani la questione è diversa. Per loro sono in gioco l’Ucraina e forse gli assetti europei del post-guerra fredda. Le esigenze della sicurezza sono meno importanti di quelle degli affari. Forse gioca anche il timore di entrare nel vicolo cieco di un’escalation. Se continuasse nella “strategia obamiana”, Mosca raggiungerebbe i suoi obiettivi.

UNA LEADERSHIP INEFFICACE
Washington non riesce a esprimere una leadership efficace. Ha una scusante. È difficile realizzare unitarietà in un gruppo composito come quello occidentale. I suoi membri hanno non solo interessi differenti, ma anche una visione diversa – quando non opposta – dell’utilità di “salvare” l’Ucraina e, comunque, di quali misure sarebbero efficaci.

LA NUOVA RUSSIA DI PUTIN
Putin ha riesumato lo storico nome di Nuova Russia. Per il ministro degli esteri polacco è una “foglia di fico” per mascherare la ricostruzione dell’URSS. A molti altri europei non ha invece fatto né caldo né freddo. Il termine era stato utilizzato da Caterina la Grande quando, alla fine del XVIII secolo, aveva annesso all’impero zarista il Donbass e la regione di Odessa, già facenti parte del Kanato di Crimea e dell’Impero Ottomano. Tali territori furono poi ceduti all’Ucraina: i primi da Lenin nel 1920; la Crimea da Krusciov nel 1954. La logica che ha presieduto tali cessioni è stata di certo quella d’aumentare la percentuale della popolazione russa, in modo da legare l’Ucraina a Mosca o, quanto meno, di mantenerne l’equidistanza con l’Europa.

L’ANNESSIONE DELLA CRIMEA
Con la recente annessione alla Russia della Crimea e dei suoi 2,5 milioni di abitanti, tale equidistanza è divenuta impraticabile. Putin sa di essersi “giocata” la fedeltà dell’Ucraina. Deve mantenerla con la forza e le intimidazioni. È invece aumentata la possibilità di adesione di quanto resta del paese all’UE e, in caso di collasso economico russo, anche alla NATO, come aveva proposto Bush jr. nel 2008. Tale crollo è tutt’altro che una fantasia. Potrebbe essere provocato da quello del prezzo del petrolio (80% della rendita energetica russa). È già avvenuto negli anni ’80.

IL DILEMMA DI PUTIN
Putin è confrontato a un dilemma. Non può abbandonare le popolazioni russe del Donbass e dell’Ucraina Sudorientale, ma non può neppure annetterle senza “perdere” l’Europa e provocare una nuova guerra fredda. Sa che si concluderebbe con un nuovo disastro per Mosca.

LE CONCESSIONI A YANUKOVICH
Le generose concessioni economiche e finanziarie, fatte da Putin a Yanukovich il 17 dicembre 2013, facevano parte di una strategia difensiva mirante al mantenimento dello status quo. Esse fallirono con il successo della rivolta di piazza Maiden. Putin decise allora di passare all’offensiva. Lo sta facendo da grande maestro. La strategia che segue è, per molti versi, simile a quella della “guerra senza limiti”, teorizzata in un fortunato libro di due colonnelli cinesi, Qiao Liang e Wang Xiangui. Il loro pensiero si colloca nel solco della tradizionale strategia cinese della guerra prolungata, del colpire le vulnerabilità politico-sociali del nemico, evitando per quanto possibile uno scontro diretto, del mantenere la massima incertezza sulle proprie future mosse e del provocare divisioni tra gli avversari.

LE RISPOSTE OCCIDENTALI
Le risposte occidentali alla crisi ucraina sembrano invece strettamente ispirate a quello che è lo “stile di guerra dell’Occidente”, derivato dal pensiero greco. Esso tende a risolvere un conflitto il più rapidamente possibile distruggendo le forze nemiche in una battaglia decisiva. La ragione è semplice: l’oplita della falange greca – a differenza del mercenario degli Stati Combattenti cinesi – era un cittadino, mobilitato temporaneamente per l’emergenza bellica. Doveva essere restituito il più presto possibile alle sue occupazioni.

LA STRATEGIA INDIRETTA
La superiorità della strategia indiretta e obliqua su quella diretta e lineare non deriva dal fatto che gli orientali siano più furbi, anche se Putin lo è certamente più di Obama. L’impero bizantino è sopravvissuto mille anni impiegando la prima strategia. Edward Luttwak l’ha suggerita come la migliore possibile agli USA. Forse Obama non la conosce, oppure non è in grado di seguirla. La flessibilità richiede l’accentramento della direzione politico-strategica. È necessario per l’impiego coerente dei vari strumenti. Putin ne dispone una ricca gamma: dagli indipendentisti filorussi; ai disertori ucraini; alle gang criminali; alla dipendenza dell’Ucraina e di molti Paesi occidentali dal gas russo; agli interessi delle compagnie petrolifere e a quelli commerciali e industriali occidentali in Russia; alla misura diversa con cui le sanzioni colpirebbero i vari Paesi; ecc.

LA STRATEGIA DEL CAOS
Sono del parere che a Putin convenga tirare la corda il più a lungo possibile, senza però strafare, senza cioè mandare truppe in Ucraina. Finché l’Occidente non si unisce, ha ampio spazio di manovra. Con le sue complesse iniziative non solo mantiene il caos in Ucraina, ma divide l’Occidente. La strategia di quest’ultimo è stata sinora troppo lineare – con i vari atti in sequenza anziché simultanei, incapaci quindi di ottenere effetti sinergici – e monodimensionale: sanzioni e dimostrazioni militari cosmetiche. La sua rigidità lo rende incapace di adattarsi alle continue e rapide variazioni della strategia di Mosca.

LE DIFESE CHE MANCANO
L’Occidente, al di là dell’unanimità di facciata, non sembra disporre di difese contro tale tipo di strategia. Le ripetute minacce di dure sanzioni stanno perdendo ogni credibilità. D’altronde, esse potrebbero avere risultati significativi solo a medio-lungo termine. Nel breve periodo sono inefficaci. Provocano oneri asimmetrici fra i vari Paesi; quindi, divisioni. Poderose lobby economiche, soprattutto in Europa, sono contrarie a qualsiasi inasprimento dei rapporti con la Russia. A parte il gas, la Russia rappresenta per molti Paesi un attraente mercato.

GRAVI VULNERABILITÀ
La Russia ha però gravi vulnerabilità. È troppo debole, per permettersi di fare un passo più lungo della gamba. Non può rischiare una nuova guerra fredda. Teme anche d’indebolirsi nei confronti della Cina. Sa di non poter fare a meno dei capitali e delle tecnologie occidentali. La fuga dei capitali, il calo della borsa di Mosca e del rublo e la riduzione della Standard&Poor’s del rating del debito russo, sono arginabili per qualche tempo, date le riserve valutarie russe. Putin deve tener conto della strutturale debolezza della Russia. Continuerà perciò ad adottare una strategia simile a quella seguita da Teheran per la questione nucleare. Un “tira e molla” senza fine, fino a quando l’attenzione delle opinioni pubbliche occidentali non si sarà distratta dal caso ucraino.

UNA CONTROFFENSIVA STRATEGICA
È possibile per l’Occidente passare alla controffensiva strategica? A parer mio, vi è un solo modo. È pericoloso e una probabilità di successo non molto elevata, date le penose condizioni delle forze militari ucraine. Per esse, il problema non consiste tanto nella mancanza di armamenti – eccetto di mezzi sicuri di trasmissione in grado di resistere ad attacchi cibernetici, che potrebbero paralizzare il loro sistema di comando e controllo – ma nella scarsa coesione delle unità. Molti sono i militari ucraini filorussi. Le unità sono infiltrate da agenti di Mosca. Molte hanno ceduto le armi ai rivoltosi. Altre non sono disposte a obbedire al governo di Kiev. Solo con una rapida e massiccia messa in efficienza, anche con il ricorso a contractor occidentali, potrebbero schiacciare la rivolta. In tal caso, Putin sarebbe messo con le spalle al muro. Sarebbe costretto a perdere la faccia, tra le risate del mondo, oppure a varcare il confine ucraino con il suo esercito. L’incertezza in tal caso finirebbe. L’Occidente potrebbe trovare la coesione necessaria per elaborare una strategia di sanzioni veramente efficaci e per sopportare gli oneri di una maggiore sicurezza energetica. La premessa è che aumenti la comprensione di che cosa sia un conflitto asimmetrico e “senza limiti”. In mancanza di essa, non vi è alternativa al “far buon viso a cattivo gioco” e all’accettazione del successo di Putin. È questa però la soluzione più probabile.

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