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La vera partita è tra Renzi e Grillo

Perché meravigliarsi se Grillo avanza nei sondaggi, nonostante tutto? La risposta è tanto semplice da divenire persino banale: il M5S è la sola forza che si oppone alla ‘’resistibile ascesa’’ di Matteo Renzi, trattandolo come si merita; da ragazzotto presuntuoso, arrogante e insopportabile.

Gli altri gruppi di opposizione balbettano e si fanno catturare dal ricatto delle riforme purchessia. Tra gli alleati di governo, ciò che rimane di Scelta Civica si è già candidato ad entrare nel Pd, mentre il Ncd ha il problema del primum vivere deinde philosophari. E pensa che sia più utile risolverlo stando al governo. Ma gli italiani tra un comico che fa il suo mestiere ed uno che si crede uno statista, scelgono il primo.

Lo stesso discorso vale per il tema dell’antipolitica tanto caro a Renzi. Nei confronti di Grillo il premier è solo un dilettante. Poi, Grillo i gusti istituzionali e al vivere civile, per ora, li annuncia; Renzi li sta facendo. C’è soltanto un’altra persona del teatrino della politica che ha capito di che pasta è fatto il nostro Giamburrasca fiorentino. E’ Renato Brunetta che attacca quotidianamente il governo ed il premier e che ha definito quest’ultimo ‘’il peggio, del peggio, del peggio’’.

Ma, per quanto autorevole, Brunetta in Forza Italia è una voce che urla nel deserto. Persino Silvio Berlusconi sembra essersi innamorato di questo ragazzotto. E non presta attenzione a quanto accade intorno a lui, mentre, un fedelissimo come Sandro Bondi, è arrivato persino al punto di proporre una resa in massa degli ‘’azzurri’’ al segretario del Pd, riconoscendogli l’eredità di quella innovazione che Berlusconi tentò di portare nella politica. Ciò significa che la confusione nell’elettorato di Fi è tanta; fino alla tentazione di inseguire il ‘’pifferaio magico’’.

Per fortuna, le riforme liberticide – il combinato disposto di una legge elettorale che consegna tutto il potere ad una forza di minoranza e di un Senato trasformato in un dopolavoro dei sindaci d’Italia – arrancano in Parlamento, tanto da far ritenere che non faranno ulteriori passi in avanti prima del voto del 25 maggio (basterebbe convertire il decreto Poletti, anche soltanto nella versione approvata dalla Camera). Comincia, però, a delinearsi lo scenario che si avrà dopo l’elezione di maggio: il Pd e il M5s che si contendo il primo posto, con FI al terzo.

Degli altri partiti solo la Lega e il Ncd-Udc varcheranno quella soglia che consentirebbe loro di superare, confermandola alle politiche, lo sbarramento previsto per le forze in coalizione. Se l’Italicum fosse già approvato, Matteo Renzi se ne servirebbe per gestire il voto anticipato, secondo il suo tornaconto, confidando in una situazione a lui favorevole comunque: non potendo, infatti, una (peraltro improbabile) coalizione di centro destra essere competitiva nei confronti del Pd e dei suoi alleati, a quel punto, la partita si giocherebbe tra il Pd e il M5s. Così, anche per i moderati si porrebbe la medesima alternativa che, Oltralpe, portava le forze antifasciste a fare blocco contro il FN. Sarebbero chiamati a sostenere Renzi contro Grillo: il populismo istituzionale contro l’avventurismo populista.

La via d’uscita è una sola. Dopo le elezioni, il governo Renzi deve cadere, insieme alle sue riforme. Si vada a votare con il Consultellum (quello scampolo di legge elettorale che ci è pervenuto provvidenzialmente dalla Corte Costituzionale). Nel futuro parlamento, ogni forza politica peserebbe secondo i suffragi che raccoglie (peraltro resterebbe un adeguato sistema di soglie d’accesso). Certo non sarebbe un percorso facile, ma non mancherebbero le condizioni di calendario per formare un governo serio, di larghe intese, prima dell’inizio del semestre di presidenza italiana. E soprattutto la politica si liberebbe del fastidioso cicaleccio di Matteo Renzi e della sua ‘’band of brothers’’. Evitando guasti istituzionali ed economici che richiederebbero decenni per essere riparati.

Del resto, questa tanto decantata erogazione pre-elettorale d’incerta copertura ricorda un altro episodio ben poco edificante: uno dei primi atti del governo Tambroni, nel 1960, fu quello di abbassare il prezzo della benzina.


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