La rete vive della sostanza di cui sono fatti i giornali. L’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook certifica che le conversazioni tra privati hanno ormai un alto valore commerciale, come il petrolio e il gas. Il passo successivo, vista la dimensione orizzontale di tutti i social network, sarà spingersi ancora di più nel territorio dell’informazione.
IN ITALIA
I più recenti dati sulle modalità con cui le persone cercano notizie confermano che questo trend si imporrà anche in Italia, paese arretrato per la penetrazione di internet ma all’avanguardia nell’utilizzo dei devices di ultima generazione, dove operatori quali Twitter vengono già oggi consultati dagli utenti per informarsi molto più di portali storicamente preposti a questa funzione e finanziati unicamente con la pubblicità.
GLI EFFETTI DELLA SMARTPHONE REVOLUTION
L’incidenza in termini di volumi delle copie digitali nell’editoria nel suo complesso è pari a circa il 4,5% delle copie totali, mentre il valore del fatturato da vendita di prodotti e servizi digitali è pari a circa il 2% del totale dei ricavi da vendita di prodotti e servizi editoriali. Aumentano le vendite ma i ricavi crescono della metà. E la pubblicità, compresa quella on line, ormai supera appena il 40% del fatturato complessivo. Le copie diminuiscono, i ricavi flettono, l’advertising retrocede nonostante internet, i social network si sostituiscono alle tradizionali fonti informative. Sono gli effetti della smartphone revolution: il device è la nuova edicola, il suo utilizzatore è il nuovo lettore.
I NUMERI
In Italia circa 34,8 milioni di soggetti hanno la possibilità di accedere a internet da almeno un apparecchio mobile o una location. E naviga da smartphone e tablet il 34,8% degli individui, prevalentemente giovani (oltre il 92% ha tra gli 11 e i 34 anni, persone che probabilmente non si sono quasi mai avvicinate a una edicola). Il tasso di penetrazione, inoltre, supera il 90% per i laureati. Se si vuole raggiungere questi potenziali lettori, adottando una logica propositiva e non difensiva (come accaduto nel settore musicale), si può provare a reimpostare il sistema secondo tre direttrici: revisione del modello di business, come insegna l’esperienza del New York Times (che da solo oggi, dopo tre anni di crisi, fattura sul digitale tre volte i ricavi di tutte le testate italiane); creazione di nuove realtà editoriali leggere, start up collegate alle testate storiche ma indirizzate esclusivamente al nuovo prodotto; rafforzamento dei contenuti delle edizioni cartacee.
NEGLI USA
Oggi negli Stati Uniti sono circa 450 su 1380 i quotidiani ad aver adottato il modello delle notizie
a pagamento sul web. Non solo testate come il New York Times e il Wall Street Journal, ma anche
gruppi che pubblicano giornali locali (80 testate di Gannett, 47 di Lee; 30 di McClatchy e 14 di Ew Scripps, ad esempio). Il meccanismo più comune è quello del paywall, che prevede un numero di
articoli gratuiti al mese da leggere sul web, oltre i quali è necessario pagare. Secondo uno studio del Pew Research Center’s la metà degli utenti di Facebook arriva alle notizie senza cercarle e, tra coloro che guardano i video, la metà sceglie quelli d’informazione.
VINCE GOOGLE
L’informazione in rete in Italia è ben diversa. Quella tradizionale (quotidiani on line soprattutto) è la principale, con una penetrazione del 28% della popolazione. Gli aggregatori sono sopra il 10% (blog e nuove testate on line), e il 12,4% degli italiani utilizza i motori di ricerca anche per informarsi. Google in Italia è il sito più utilizzato a questo scopo (21,5% degli utenti web), Facebook si colloca al quinto posto; in mezzo, letteralmente schiacciati, ci sono la Repubblica, Corriere della Sera e Ansa. Twitter è tredicesimo, ma sta diventando un mezzo di informazione primaria per tutti gli addetti ai lavori, anche per l’utilizzo che ne fanno politici con responsabilità di governo, Matteo Renzi in primis.
I RICAVI
Oltre il 90% del fatturato dei quotidiani deriva ancora dal prodotto storico. In particolare, mentre dal lato pubblicitario il web rappresenta oramai una posta significativa, avendo superato il 10% del totale dei ricavi pubblicitari totali, dal lato della vendita di copie, i prodotti digitali rappresentano ancora una frazione marginale (2%) dei relativi ricavi. Di conseguenza, la composizione dei ricavi da servizi digitali è largamente sbilanciata a favore della componente pubblicitaria (85% contro il 15% dei ricavi da vendita di copie digitali). Nel caso dei quotidiani cartacei la ripartizione dei ricavi è più equilibrata, con una prevalenza del fatturato da vendita di copie (55%), ma la situazione è in costante peggioramento.
COSA FARE
La strada del digitale sembrerebbe quindi obbligata. A parità di prodotto offerto, il mezzo informativo digitale viene però valorizzato molto meno dagli editori italiani. A un euro incassato dalla vendita di un giornale cartaceo corrispondono 37 centesimi di ricavi per il medesimo prodotto in rete. Senza contare sconti e riduzioni di prezzo per lanciare le nuove iniziative. E da un punto di vista pubblicitario non va meglio: il ricavo medio per visitatore sul web raggiunto è un terzo di quello del prodotto su carta.
La costante crescita di operatori nuovi su internet eroderà ulteriormente il mercato tradizionale. Non serve provare solo ora il metodo del paywall o imbarcarsi timidamente nell’e-commerce. Bisogna offrire una piattaforma multi service completamente nuova che non ricicli contenuti.
La salvezza dei giornali è offrire una proposta informativa diversa per testata, scrittura e firme, da quella su internet: le due piattaforme devono diventare prodotti alternativi, quasi antagonisti, come televisione e cinema. A lettori potenzialmente diversi devono essere offerti prodotti differenziati. In caso contrario, i ricavi dalle due attività potrebbero complessivamente ridursi.
Parafrasando Jeffrey Bezos, nuovo editore del Washington Post, ‘’la scrittura viene prima di tutto’’.
(tratto dalla ricerca di Roberto Sommella, “Un nuovo lettore un nuovo quotidiano’’, consultabile su www.fieg.it e primaonline.it)