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Il fascino pericoloso della discrezionalità Antitrust

Dei delitti, delle pene. E, forse, delle multe. Uno dei principi basilari del diritto, ovvero la certezza della pena, potrebbe finalmente essere applicato anche a un ambito fino a oggi lasciato alla pressoché completa discrezionalità del “giudice”. Si tratta delle sanzioni comminate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) in occasione di violazioni delle normative antitrust nazionali. C’era (e resta) un massimo teorico, fissato dalla legge nel 10% del fatturato del soggetto incriminato. Ma, sotto quel massimo, non esiste un minimo. L’Antitrust, cioè, è libero, per legge, di applicare la propria legge delle multe. Il risultato è stato che nessun soggetto condannato ha staccato assegni per il massimo teorico, e che, viceversa, talvolta gli sconti sono stati sorprendenti.

Fino a oggi, dunque, ha prevalso un regime di discrezione, con piena assenza di trasparenza, e quindi di certezza della multa. Tuttavia, nei giorni scorsi, la stessa Authority guidata da Giovanni Pitruzzella, ha fatto un primo passo nel proporre la definizione di quel “minimo”. Cioè ha avviato una “consultazione pubblica sulle Linee Guida relative alla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni irrogate dall’Autorità in materia di concorrenza”. Le Linee Guida messe in consultazione, spiega l’Antitrust, hanno l’obiettivo di «illustrare i principi che l’Autorità si impegna a seguire nella quantificazione delle sanzioni al fine di assicurare trasparenza, prevedibilità e carattere obiettivo delle proprie decisioni».

A partire dal 15 maggio, per 45 giorni, tutti i soggetti interessati potranno inviare le “proprie motivate osservazioni” inviando una mail all’indirizzo consultazione.lineeguidasanzioni@agcm.it.

È prevedibile che ci siano reazioni da parte delle associazioni imprenditoriali, se non direttamente dei grandi gruppi. Ma non è detto che saranno negative. Infatti, è vero che l’elemento nuovo introdotto dalle Linee Guida, è, appunto, quel minimo sotto il quale l’Authority non potrà più scendere nelle sue ammende. Tuttavia, sembrano restare ancora ambiti di indeterminatezza che lasciano spazio a sconti discrezionali. E, perciò, non trasparenti. Insomma, anche le associazioni dei consumatori potrebbero avere qualcosa da dire.

TROPPA DISCREZIONALITÀ

Il problema di partenza viene riconosciuto, nel documento, dallo stesso Antitrust: «Nell’esercizio del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie, l’Autorità dispone di un ampio margine di discrezionalità, nei limiti di quanto previsto dalle richiamate norme. In particolare, la sanzione non deve superare il dieci per cento del fatturato totale realizzato a livello mondiale in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida». Ovvero, c’è un massimo. Ma non un minimo. Viceversa, fissare paletti potrebbe aiutare anche come deterrente, laddove «un grado più elevato di trasparenza e prevedibilità delle sanzioni applicabili agli illeciti concorrenziali può efficacemente contribuire a scoraggiare le violazioni del diritto antitrust».

IL QUANTUM. MA QUANTUM?

Il nocciolo della questione, dunque, è il paletto da fissare al ribasso. L’Antitrust spiega, innanzi tutto, che «le sanzioni applicabili agli illeciti antitrust debbano essere calcolate a partire dal valore delle vendite dei beni o servizi oggetto, direttamente o indirettamente, dell’infrazione, realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero di partecipazione alla stessa infrazione (di seguito, valore delle vendite)». A questa base imponibile (il valore delle vendite) sarà applicata una percentuale, e il risultato moltiplicato «per il numero di anni di partecipazione all’infrazione». Ed ecco che, nell’indicare la percentuale, c’è ancora una volta estrema chiarezza nel definire il massimo («Tale percentuale non sarà superiore al 30 % del valore delle vendite»). Ma resta più di un dubbio nell’indicazione del minimo. Per arrivare a un quantum, infatti, viene spesa una lunga lista di parole e di specifiche: «L’Autorità – si legge al punto 12 del documento – ritiene che gli accordi orizzontali segreti di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione costituiscano le più gravi restrizioni della concorrenza. Al riguardo, l’eventuale segretezza della pratica illecita ha una diretta relazione con la probabilità di scoperta della stessa e, pertanto, con la sanzione attesa. Pertanto, per questo tipo di infrazioni, la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15%».

Dunque, questo “non inferiore al 15%” è un valore generale, o legato alle specifiche elencate appena sopra, oppure a grado di segretezza delle specifiche stesse?

Nel seguito del documento, l’Antitrust delinea con precisione gli eventuali importi supplementari, le circostanze attenuanti e aggravanti, specificando per ognuno la percentuale minima e massima di incremento/decremento della sanzione base.

Ma il problema resta: questa sanzione base è compresa tra un 30% certo del “valore delle vendite”, e un 15% che si è fatto di tutto per mimetizzare tra specifiche e cavilli.

La certezza della pena attende un ulteriore sforzo di trasparenza.


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