Con l’acquisizione dell’Ospedale Bambin Gesù, ex San Raffaele di Olbia, la Qatar Foundation è pronta ad avviare e gestire la struttura come centro di alta specializzazione ed eccellenza clinica.
Un investimento da 1 miliardo di euro operato con la Regione Sardegna e il supporto di Palazzo Chigi, che collocherà il Paese in una rete globale di operatori di alta qualità con l’obiettivo di scambiare know how e intelligenze. L’iniziativa interroga l’Italia sullo stato di salute della sua economia e sulla capacità di attrarre investimenti, soprattutto quelli delle petromonarchie del Golfo, sempre più protagoniste – spiega in una conversazione con Formiche.net Luciano Rispo, investment project manager di Qatar Foundation Endowment – di un mutamento strutturale da un’economia basata sugli idrocarburi ad una fatta di innovazione e conoscenza.
Ci racconta come e perché nasce l’idea di investire nella sanità italiana?
Il nostro impegno in Sardegna è qualcosa di più. Il fondo d’investimento della Qatar Foundation si occupa da dieci anni di attività sanitarie, con l’obiettivo di affiancare un’economia basata sulla conoscenza agli introiti tradizionali di un Paese del Golfo, come gli idrocarburi.
Ovviamente questo richiede molto tempo e diversi investimenti. Quello in Italia è solo una minima parte.
Solo lo scorso anno il Qatar ha destinato il 2,8% del suo prodotto interno lordo, circa sei miliardi di dollari, in attività di ricerca, una media tenuta anche negli anni passati.
Grazie a questa intensa attività abbiamo creato una fitta rete di collaborazioni di eccellenza con alcune delle più prestigiose università e dei migliori centri medici al mondo per mettere in rete i cervelli migliori e realizzare prima e meglio gli obiettivi. Qualche nome: per gli atenei Texas A&M, Carnegie Mellon, Weill Cornell Medical College e Georgetown, per gli ospedali Cleveland Clinic, St Mary Hospital, Mayo Clinic, Karolinska Institute
Perché in Sardegna? A quanto ammonta l’investimento? E quando contate essere pienamente operativi?
Per ragioni pratiche: l’alta incidenza di patologie simili tra il Qatar e la Sardegna – come il diabete considerata una vera patologia sociale -, e un edificio quasi pronto, il che ha velocizzato il progetto. In quest’ultimo frangente hanno giocato un ruolo positivo le istituzioni italiane a tutti i livelli, rapide nel fornire risposte. Con questo investimento congiunto da circa 1 miliardo di euro la Sardegna, e con essa l’Italia, entrerà a pieno titolo nel network mondiale che abbiamo costituito in questi anni per condividere ricerche e procedure cliniche avanzatissime. Già in passato abbiamo collaborato col Politecnico di Torino e con un consorzio di atenei partecipato dal Cnr, Biogem. Ma adesso instaureremo una collaborazione che credo sarà più stabile e proficua con le università italiane, quelle sarde in primo luogo vista la vicinanza alla struttura. Contiamo di inaugurarla a marzo del 2015.
Come e in quali settori opera la Fondazione?
Tutti gli investimenti vengono realizzati attraverso un fondo specifico, il Qatar National Research Fund, paragonabile in Europa a Horizon 2020 e diverso da quello che finanzia l’acquisizione o la partecipazione in asset tradizionali, ovvero la Qatar Investment Authority. La Fondazione, fondata nel 1995 dallo sceicco Hamad Bin Khalifa Al Thani, ha varie ramificazioni che dialogano tra loro nel perseguire l’interesse generale. La parte Endowment, che è quella di cui mi occupo, è attiva in quattro macroaree che sono healthcare, informatica e telecomunicazioni, ambiente ed energia, ma dedichiamo particolare attenzione a salute e benessere della popolazione. Ad esempio lavoriamo anche a nuovi strumenti medicali, come una tecnologia realizzata con General Electric che permette una diagnosi precoce del cancro al seno. Non solo. Uno dei nostri obiettivi è diffondere questa conoscenza anche in Paesi in via di sviluppo o non ancora su standard di salute occidentali.
Il nostro focus è per motivi comprensibili sulla popolazione del Qatar, ma il mondo è ormai globalizzato e investire in economia della conoscenza in Italia vuol dire farlo indirettamente anche altrove. Ma ciò non vuol dire che gli investimenti in Qatar non proseguano. La QF è composta da alcune delle migliori eccellenze mondiali, che hanno aperto sede nel Paese . E proprio ora stiamo completando a Doha un progetto analogo a quello sardo, il Sidra Medical and Research Center, che prende il nome da un albero che cresce nel deserto.
Lei vive da molti anni in Qatar. Come viene percepita l’Italia dal Golfo? E c’è voglia di investire in altri progetti?
Sarò banale, ma c’è una profonda ammirazione per l’Italia, per tutto ciò che è arte, moda, cibo: in poche parole Made in Italy. Ma anche un grande rispetto per i nostri cervelli, considerati tra i migliori. Sia quelli rimasti nel Paese sia quelli in giro per il mondo. In Qatar essere italiano è quasi un punto di favore rispetto ad altre nazionalità e il recente investimento in Sardegna lo conferma, perché non coinvolge un asset tradizionale, ma è improntato a sviluppare conoscenza da condividere. È un atto d’amore. Doha ama Roma molto più di quanto si possa percepire dall’Italia. Quanto a nuovi investimenti non posso parlare per settori diversi dal mio, ma l’Endowment intende sicuramente intensificare i rapporti con la Penisola.
Cosa può fare l’Italia per rendersi più attraente e moltiplicare gli investimenti anche in altri settori?
Penso che l’Italia sia sulla strada giusta. Molti dei problemi del Paese sono noti, non li ripeterò. C’è bisogno inoltre di continuare a investire sempre di più in educazione e ricerca, veri motori dello sviluppo. Ciò non aiuta solo a creare economia interna, ma anche ad innescare un processo virtuoso di attrazione d’investimenti, perché si viene percepiti come partner che possono contribuire ad arricchire un lavoro comune in settori innovativi. Sono convinto che la leadership italiana abbia ben chiaro come farlo; ora, nonostante la contingenza difficile, spero che si trovino le risorse per rendere questo cammino più agevole e rapido.
A conferma dell’attrattività del Qatar, molti think tank internazionali di prestigio, come Brookings Institution, hanno sede a Doha. Pensate anche voi di ramificarvi, perché no, con una sede a Roma?
Al momento non abbiamo altre sedi “fisiche” nel mondo oltre quella in Qatar, anche se le tante partnership con diversi istituti sparsi per il globo ci consentono di avere una proiezione internazionale. Non escludo tuttavia che nel futuro ciò possa accadere, anche a Roma, soprattutto in relazione agli investimenti nel Paese.