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La politica estera della Cina: Soft Power

La Cina, al contrario di quanto si possa supporre, è stata sa sempre uno stato aperto al dialogo con gli altri paesi; un dialogo tuttavia a senso unico. Il grande Paese Giallo, da sempre, si impone sugli altri stati cercando di diventare una “potenza” degna di tale nome.

POLITICA ESTERA

Come sostiene Barthélémy Courmont (docente all’Université de Paris VII) nel suo saggio sul soft power cinese, probabilmente la Cina non si è resa nemmeno conto, negli ultimi anni, di utilizzare politiche miste di soft e hard power per accreditarsi presso i governi di molti paesi, soprattutto nelle zone più povere dell’Africa e dell’America Latina.

Con il termine soft power, coniato da Joseph Nye (19 gennaio 1937, politologo statunitense) oltre vent’anni fa, si descrive la necessità del paese asiatico di affermare il proprio bagaglio culturale, per fare da contrappeso al sentimento diffuso di ostilità e diffidenza che si è sviluppato nei suoi confronti in molte parti del pianeta.

Con Soft Power si intende la capacità che possiede uno stato di persuadere, o attrarre, un altro o più stati facendo uso di tutti gli strumenti collegati alla sua storia, alla sua cultura, alle espressioni intellettuali e ai valori che da queste emanano. Fa da contrappeso l’ Hard Power riferito a tutte le azioni nei settori economico, finanziario e militare che vengono utilizzati dai paesi per ottenere un comportamento vantaggioso nei propri confronti. La Cina per Nye si lega al concetto del Soft Power, promuovendo una politica tesa al conseguimento di uno “sviluppo armonioso“.

Questo concetto viene confermato il 15 Ottobre 2007, nel rapporto indirizzato ai membri del 17° Congresso del Partito Comunista Cinese, quando il presidente Hu Jintao ha per la prima volta chiaramente fatto cenno al Soft Power come strumento per permettere al paese di centrare l’obiettivo della costruzione di una “società moderatamente prospera“:

“Dobbiamo mantenere l’orientamento verso una cultura socialista avanzata, portare avanti lo slancio nello sviluppo culturale socialista, stimolare la creatività dell’intera nazione ed estendere la cultura quale parte del Soft Power del nostro paese per garantire meglio i diritti e gli interessi fondamentali del popolo, arricchire la vita culturale nella società cinese e ispirare l’entusiasmo del popolo per il progresso”.

ISTITUTI CONFUCIO

La pianificazione della diffusione culturale cinese comincia a prendere forma con la creazione degli Istituti Confucio, che vengono fondati per veicolare quella serie di valori propri della miglior tradizione che i leader ritengono utili per contribuire all’avvicinamento delle popolazioni di altri paesi alla cultura cinese. Il primo Istituto Confucio apre non a caso in Corea del Sud alla fine del 2004 in quanto la Cina cercava una sponda culturale in una sua potenziale area geografica di influenza.

La proliferazione di questi istituti, soprattutto nel continente africano e sudamericano, ha diverse motivazioni, prima tra tutte la necessità da parte del governo di tranquillizzare l’opinione pubblica dei paesi verso i quali la Cina ha operato un’aggressiva attività di investimenti.

I risultati di questa manovra sono positivi, seppur tuttavia moderati rispetto all’enorme investimento messo in campo che, poteva essere sfruttato per acculturare aree del paese che ancora in campo culturale soffrono di scarsi investimenti.

L’Italia non è rimasta immune da questa manovra. L’Istituto Confucio di Pisa è il risultato di un accordo di collaborazione tra la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Università di Chongqing, firmato a Pechino nel dicembre 2004 e fa parte della rete degli Istituti Confucio promossa dal Ministero cinese dell’Istruzione in oltre 100 paesi d’Europa e del mondo

Oggi esistono 350 Istituti Confucio e 500 Aule Confucio in 105 paesi.

STRATEGIE DI COMUNICAZIONE

Sempre per adottare un profilo di Soft Power, a partire del discorso di Hu Jintao del 2011 al PCC, la Cina ha volto maggiori attenzioni verso il settore della comunicazione esterna.

Nel Luglio del 2011 l’Agenzia di stampa statale decide di sbarcare in Times Square acquistando spazi pubblicitari prima appartenuti alla banca HSBC (Grande istituto di credito europeo). La decisione ha un enorme risalto sulla stampa internazionale consolidando la presenza dell’informazione cinese all’estero.

Altro passo importante verso la globalizzazione degli strumenti d’informazione cinesi è stata la creazione di un canale di news dell’agenzia Xinhua in lingua inglese, molto simile ai modelli occidentali, a completamento dei canali della CCTV (televisione centrale di Cina) già visibili in Europa e negli Stati Uniti.

Esistono inoltre già da tempo edizioni  in lingua cinese dei maggiori organi d’informazione internazionali come il “Financial Times”, la “BBC” e il “Wall Street Journal”. In Italia il solo quotidiano che si è tenuto al passo è il “Corriera della Sera“, che nella sua edizione on line ha creato un link in notizie in lingua cinese.

Dal punto di vista della stampa la Cina ha incontrato negli anni numerose difficoltà. Oltre 500 editori cinesi non raggiungono il volume d’affari di una sola grande casa editrice tedesca, le produzioni di telefilm e sceneggiati locali non riescono ad approdare con successo nei circuiti occidentali così come nessun lungometraggio di animazione.

Per arginare questa mancanza la Cina promuove numerosi eventi culturali. Nel febbraio 2012 è stato infatti inaugurato l’Anno del Dialogo Interculturale dell’Unione Europea e della Cina. Deciso nell’Ottobre 2010, in occasione del EU-China Summit.

Un annotazione a parte riguarda le mostre di reperti archeologici di cui la Cina è ricchissima. Fenomeno incentivato dalle numerose iniziative di esposizione all’estero. Eccezionale appare l’esperienza italiana di questi ultimi anni, dove è stato organizzato un numero impressionante di mostre di altissimo valore, organizzando perfino una mostra congiunta delle due culture. La strategia di proporre al visitatore occidentale l’impero cinese accanto a quello romano è molto efficace per esortare il principio della unità nella diversità, tanto caro alla Cina contemporanea.

La Cina risulta essere la detentrice del “coltello dalla parte del manico” nelle relazione internazionali; investendo, non tanto nel clima di terrore, ma nel portare gli “avversari” dalla propria parte.

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