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Ecco perché la vicenda del Mose è un inno allo spreco

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

L’abbiamo ripetutamente scritto, su ItaliaOggi, nel bel mezzo di un assordante silenzio che la concessione pubblica per il Mose, affidata al Consorzio Venezia Nuova, aveva vari aspetti di opacità, sottolineando che era il caso che il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi affrontasse il problema, disponendo una due diligence sulle spese presentate allo Stato e da questo pagate al Consorzio. Al ministero di Porta Pia non se ne sono dati per inteso. Ora, il coperchio sulla questione lunga trent’anni viene sollevato dalla magistratura.

IL CONSORZIO

Ricapitoliamo: trent’anni fa, lo Stato affida a un consorzio capeggiato dall’azienda pubblica Italstat tutto il procedimento per la realizzazione del sistema di difesa di Venezia dalle acque alte. Si tratta di porre in opera alcune paratoie mobili nelle tre bocche lagunari, in modo da impedire o, comunque, rallentare l’afflusso delle maree, mettendo in sicurezza la città. L’operazione è molto complessa, giacché, diminuendo il ricambio laguna-mare, si accentuano i carichi inquinanti e si mette in pericolo la salute degli abitanti del capoluogo e della cosiddetta Gronda lagunare (i paesi rivieraschi). La soluzione di questo aspetto delicato è di competenza della Regione che va avanti a spizzichi e a bocconi, senza il coordinamento di tempi e opere con il consorzio concessionario dello Stato.

PROBLEMI IMMEDIATI

Consorzio, questo, cui compete la progettazione, la sperimentazione dei manufatti (oggetto di modelli matematici e fisici), la realizzazione delle opere preliminari e di quelle effettive, la cui dimensioni possono essere definite imponenti. Già nelle progettazioni, le cose non cominciano a funzionare come si deve. All’origine, si stabilisce che la progettazione e gli studi siano effettuati a Venezia, allo scopo, innanzi tutto, di formare un gruppo di tecnici e una cultura utilizzabili in tutte le realtà sono assimilabili per problematiche e difficoltà alla laguna. Tuttavia, la società Technital, affidataria della progettazione pensa bene di realizzarla –formalmente- nella casa madre di Verona, ma, effettivamente, di subappaltarla a varie realtà anche milanesi, in alcuni casi create ad hoc.

I FINANZIAMENTI

Strada facendo, il consorzio cambia pelle. Liquidata l’Italstat, la sua quota maggioritaria è suddivisa tra altri soci, talché, per un certo periodo, è l’Impregilo ad assumersi la direzione di tutta la struttura. Insomma, quel presidio dell’interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato, che legittimava –soprattutto politicamente- l’operazione, viene meno. Periodicamente, lo Stato elargisce i finanziamenti necessari, tanto che, ormai, i lavori sono prossimi al termine e alcune paratoie sono installate. Il punto critico, a parte le questioni di cui si sta occupando la magistratura veneziana e di cui presto sapremo di più, è costituito dal sistema di controllo pubblico, di cui abbiamo detto all’inizio, dei costi e dei prezzi pagati.

LA VIGILANZA SULL’OPERA

L’ufficio statale incaricato della vigilanza sull’opera e della liquidazione degli stati di avanzamento è il Magistrato alle acque. Svuotato di competenza e di personale non è, ormai da un ventennio, nelle condizioni di onorare efficacemente l’incarico, per carenza di uomini e di professionalità. Quindi, in modo palese, sotto gli occhi di tutti, il Consorzio presta al proprio sorvegliante –inviandoli a lavorare negli uffici di Rialto- i tecnici e i contabili che debbono esaminare i documenti di spesa e liquidare i pagamenti. Il controllore si giova del controllato per esercitare il controllo: un pasticcio impensabile in qualsiasi altra realtà.

UN DANNO INCALCOLABILE

Il danno prodotto è incalcolabile, allo stato delle cose. Sia le progettazioni che i lavori sono stati pagati in modo che molti giudicano esagerato (e, in tale esagerazione, potrebbero essere state trovate le risorse per pagare tangenti, se tangenti sono state pagate): per questa ragione abbiamo proposto a Lupi di dare il via alla già indicata due diligence, in modo da quantificare la differenza tra l’ora di un ingegnere senior pagata dal consorzio e il prezzo corrente di mercato; tra il chilo di cemento messo in opera a Venezia e il medesimo chilo di cemento messo in opera, per esempio, a Mazzorbo; per il metrocubo di cemento armato e per tutte le partite elementari di cui si compone uno stato di avanzamento. Il momento è venuto perché un’operazione del genere, di natura squisitamente amministrativa, di supporto alle indagini dell’autorità giudiziaria, sia avviata. E, se il ministro non intende entrare nel merito, sia la procura della Repubblica ad affidarla a un soggetto idoneo di caratura, internazionale.

LA MESSA IN SICUREZZA

Certo, gran parte dei soldi erogati, non è recuperabile, per prescrizione, a meno che non sia frutto di reati di tale gravità da protrarre il diritto alla cosiddetta ripetizione di indebito, la restituzione, cioè del maltolto. Detto questo, c’è da sottolineare che le opere debbono essere terminate e Venezia deve essere messa in sicurezza. Lo strumento non può che essere quello esistente che dispone di metri cubi di studi e di contratti. Per la tutela della finanza dello Stato e la regolarità futura, occorre un commissario che faccia piazza pulita, riveda i conti e prosegua l’opera: ci pensino i magistrati se non ci pensa il ministro.



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