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L’università Bicocca di Milano ha un paio di ideuzze per l’impasse sui cambiamenti climatici

L’Università di Milano-Bicocca ha teorizzato una cura in quattro punti per rompere lo stallo sul clima: calcolare le emissioni in base al consumo, spostare la discussione dall’ONU al MEF, distribuire il carbon budget democraticamente e riportare il compromesso raggiunto all’ONU.

“A compromise to break the climate impasse”, lo studio di Marco Grasso, del dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca e J. Timmons Roberts, dello Institute for the Study of Environment and Society della Brown University, dell’Università di Milano-Bicocca e della Brown University è stato appena pubblicato su Nature Climate Change.

DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

Attualmente la contabilità delle emissioni registra quelle effettivamente prodotte da ciascun Paese. L’idea dello studio è invece quella di imputare le emissioni di CO2 ai Paesi dove i beni e i servizi prodotti sono realmente utilizzati e consumati. Secondo gli esperti, infatti, se il calcolo delle emissioni di CO2 passasse da un conteggio basato sulla produzione a uno basato sul consumo, da qui al 2050 la Cina potrebbe aumentarle del 3.6 per cento, la Russia del 2, l’India andrebbe in pari e gli Stati Uniti dovrebbero ridurle solo del 1.9 per cento.

I RISULTATI

Ciò permetterebbe di non superare il tetto di 420 Giga tonnellate di CO2 da combustibili fossili, il cosiddetto carbon budget, che l’umanità ha ancora a disposizione fino al 2050 se vuole contenere l’aumento della temperatura media globale entro i due gradi centigradi al 2100.

ALTRI TRE ELEMENTI

Per rompere lo stallo sulle decisioni per limitare il climate change i ricercatori suggeriscono altri tre elementi: 1) limitare la discussione iniziale ai 13 Paesi MEF (Major Economies Forum) dove gli accordi potrebbero essere raggiunti più agilmente rispetto alle Nazioni Unite; 2) distribuire il carbon budget fra i Paesi in base ai principi di responsabilità (calcolata sullo storico delle emissioni di CO2 dal 1990 al 2010) e ricchezza (calcolata in base al Pil pro capite); 3) riportare infine il compromesso raggiunto fra i membri del MEF in sede Onu dove a quel punto sarebbe più semplice estenderlo a tutti gli altri Stati.

 CHI NE GIOVEREBBE

“Il passaggio da una contabilità della CO2 basata sulla produzione a una basata sul consumo – spiega Marco Grasso – aiuterebbe a trovare un accordo sul clima perché i due Paesi leader sulla scena mondiale, Cina e Stati Uniti, sarebbero, rispettivamente, avvantaggiati o non eccessivamente penalizzati e quindi sarebbero invogliati a adottare un’azione internazionale concertata per abbattere le emissioni. La riduzione di emissioni del 2 per cento entro il 2050 per gli Usa è addirittura al di sotto degli obiettivi recentemente fissati dal presidente Obama”.

CHI PAGHEREBBE (FORSE) I COSTI

Il costo più alto in termini di riduzioni delle emissioni sarebbe sostenuto dall’Unione Europea che, con il nuovo sistema di calcolo basato sui consumi, sarebbe costretta ad abbatterla del 7 per cento.

“Tuttavia – aggiunge Grasso – anche l’Unione Europea troverebbe la sua convenienza in questo compromesso. La UE, infatti, ha definitivamente perso la leadership sul clima dopo la conferenza di Copenaghen del 2009. Sopportando e sostenendo una riduzione così consistente tornerebbe a giocare un ruolo centrale nelle politiche internazionali sul clima e sulla protezione dell’ambiente”.


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