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Ecco come l’Italia può voltar pagina grazie ai Fondi europei

plastica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

I Fondi Europei sono, per il nostro Paese, sia una soluzione che un problema. L’Italia assorbe solo il 49,63% dei fondi teoricamente assegnati, rispetto ad una media dell’Unione Europea di 66,29%.
Il motivo è facile da intuire: eccesso di mediazione burocratica, e mi limito solo alla burocrazia vera e propria, dato che le interferenze riguardano anche la classe politica, contrasto tra i programmi messi in ponte, difficoltà di gestione della liquidità, talvolta una genericità eccessiva del progetto.

C’è qualche segnale di miglioramento, dato che il “Programma Operativo Regionale” in Sicilia è passato da circa un 18% di utilizzazione dei fondi al 41% e più di quest’anno, mentre anche la Calabria è arrivata ad oltre il 40% di tasso di utilizzazione dei Fondi UE e la Campania, sempre la più parca, oggi utilizza solo il 33% dei Fondi Europei.

Ma c’è qualche altro motivo da analizzare: il fatto è che, se si riduce la dipendenza degli elettori dalle elargizioni una tantum e ad hoc della classe politica regionale, la difficoltà per i politici locali di farsi rieleggere diminuiscono grandemente.

E’ il meccanismo che il sociologo USA Winthrobe chiamava “la dittatura della ciotola”, tanto più diminuisce il reddito della popolazione, tanto più aumenta la possibilità della classe politica di acquisire consenso al “prezzo” minore.

Ci sono, infatti, ancora ben 16 miliardi da utilizzare fino al 2015, ma Bruxelles, ci è ben noto, ha bloccato l’erogazione prima che vengano perfezionati o decisi dei meccanismi di controllo efficienti e razionali.

Poi ci sono i bandi HORIZON 2020 e COSME, per le piccole e medie imprese innovative e per tutte le proposte sull’ambiente e le nuove tecnologie. Bene, ma qui occorre fare un appunto alla stessa UE: si possono e si debbono finanziare non solo le PMI “innovative”, concetto peraltro molto vago e soggettivo, ma le Piccole e Medie Imprese come tali. Tutto ciò che funziona sul mercato è innovativo, quando non lo è più vuol dire che l’azienda è decotta.

Se quindi dal 2014 al 2020 sono disponibili per l’Italia 67 miliardi di Euro, occorrerà passare dalla vecchia ideologia di Schumacher, “piccolo è bello”, alla gestione di programmi integrati per il rinnovo delle tecnologie e dei sistemi produttivi di tutto il nostro Paese, non solo delle piccole fabbriche “ecosostenibili” o a bassissimo impatto ambientale.

L’ecologia va benissimo, ma l’ideologia dell’ecologismo, quella no. Occorrerà finanziare, con i fondi UE in fase di arrivo, alcune infrastrutture informatiche che, quelle sì, serviranno anche alle PMI, e bisognerà utilizzare molti dei fondi europei per aggiornare la cultura tecnologica e professionale di interi settori produttivi.

Se poi mettiamo insieme, come è stato autorevolmente proposto, i 32 miliardi annuali dei Fondi UE a quelli del Fondo Agricolo, e la liquidità del Fondo di Rotazione Statale, allora abbiamo una massa di denaro tale da sostenere le macroaree, secondo le idee del Governo, ma anche e soprattutto una buona parte del rinnovamento tecnologico nazionale.

Che dovrebbe essere l’obiettivo primario dei nostri sforzi: siamo in una fase in cui le nostre esportazioni devono essere sostenute non solo dall’immagine del Made in Italy, ma anche da una forte quota di innovazione sia di processo che di prodotto.

E’ finito il tempo del marchio che faceva il mercato: oggi, tra concorrenza leale e sleale, ovvero il mercato delle imitazioni, dobbiamo stare molto attenti a mentenere le nostre quote di mercato globale.
E non è nemmeno del tutto vero che si debba per forza mirare alla sola e unica “coesione territoriale”. Perché? Ogni area ha i suoi tempi, i suoi ritmi, la sua struttura demografica e economica, la sua vocazione produttiva. Far fare tutto a tutti vuol dire far fare pochissimo a molti.

Quindi, ricordandosi della severità del Tribunale UE verso la Puglia, è bene pensare che i Fondi UE vanno utilizzati bene, e non per sole attività pseudoculturali o di “immagine”; la società del futuro non sarà una “società della comunicazione”, dovremo continuare ancora a produrre pomodori, computer, lampadine e carta. E quindi si tratta di ripensare anche al cofinanziamento nazionale, oggi ad oltre 58 miliardi, perché questa liquidità deve andare non solo alle Piccole e Medie Imprese definite come “innovative”, non si sa sulla base di quale criterio, ma a specifici settori produttivi che debbono essere posti in grado di reagire e superare la concorrenza internazionale, e si tratta di aree di impresa che il Governo deve scegliere, perché è da queste che dipenderà la fisionomia produttiva, e quindi sociale, dell’Italia del futuro.

Agroalimentare, naturalmente, macchine utensili, tecnologie di punta nel settore elettronico, meccanica fine, settore del lusso. Che va ripensato, quest’ultimo, con la stessa geniale originalità con la quale gli orologiai svizzeri reagirono, negli anni ’70, all’invasione nipponica del loro mercato.

Certamente, se mettiamo insieme i fondi UE e quelli per la coesione territoriale nazionali, si arriva a oltre 100 miliardi di Euro, una cifra tale da trasformare il panorama produttivo e industriale di tutto il Paese, non solo delle regioni più “svantaggiate”, dove il clientelismo politico e la penetrazione della criminalità organizzata potrebbero vanificare molti sforzi e farci passare, per dirla con Don Fabrizio, il protagonista del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, dai Gattopardi dello stemma gentilizio del Principe Fabrizio agli “sciacalli e alle iene”.

Giancarlo Elia Valori
Honorable de l’Academie des Sciences de l’Institut de France e Presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa

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