Leggo sul Giornale di sabato che, a differenza di altri parlamentari di Scelta Civica ancora impegnati nella discussione sul modo migliore in cui adempiere il proprio mandato elettorale da qui alla fine della legislatura, io sarei “già dato nelle file del PD”.
Non so da quale fonte il Giornale abbia tratto questa notizia non vera e mi chiedo se correttezza non avrebbe imposto al cronista di chiamarmi per verificare: gli sarebbero bastati due minuti per informarsi correttamente. Colgo comunque l’occasione per esporre la mia posizione, sinteticamente ma con la massima trasparenza, almeno ai lettori di questo sito. Se non torno a iscrivermi al PD, nonostante che la leadership di Matteo Renzi stia trasformando questo partito (in modi imprevisti ma) nel senso che ho sempre auspicato, è innanzitutto perché questo verrebbe interpretato da molti come una manifestazione da parte mia di opportunismo – “saltare sul carro del vincitore” – o di aspirazione a cariche politiche o amministrative, che invece non sto cercando affatto: finita questa legislatura tornerò al mio lavoro di professore e di opinionista.
Inoltre perché in questa fase importante e delicata di elaborazione della legge-delega in Commissione Lavoro al Senato mi sembra utile – dal solo punto di vista che profondamente mi interessa, cioè quello del buon esito della riforma – che io conservi tutta intera la mia libertà di intervento a sostegno del disegno più ambizioso: condiviso dal capo del Governo e dal ministro del Lavoro, ma tuttora avversato da una parte per nulla irrilevante del PD. Questo, del resto, è stato sempre il mio vero “partito”: quello della riforma del nostro diritto e mercato del lavoro; la mia iscrizione a questo partito non è mai cessata, e non è mai stata più attiva di oggi.
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