Sono stati tra i protagonisti delle due lunghe giornate che hanno portato il Consiglio superiore della magistratura a congelare lo scontro fra toghe alla Procura di Milano e a rinviare a luglio l’ora della verità per Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo.
E ieri si sono ritrovati nell’Aula Magna della Corte di Cassazione a Roma per la presentazione del libro “Il sistema costituzionale della magistratura”, scritto da Nicolò Zanon, professore di Diritto costituzionale all’Università Statale di Milano e componente dell’attuale CSM, e Francesca Biondi, ricercatrice di Diritto costituzionale nello stesso ateneo.
NODI IRRISOLTI
Al centro del dibattito che ha coinvolto i più alti esponenti dell’organo di auto-governo dei giudici sono i temi che hanno alimentato polemiche roventi nel mondo politico e nella magistratura associata. Ma che ancora attendono interventi riformatori adeguati.
Si tratta del rapporto tra autonomia, indipendenza e responsabilità delle toghe, della separazione delle carriere, dell’obbligatorietà dell’azione penale, dell’abuso degli incarichi extra-giudiziali, dell’appartenenza alle correnti che si riflette nella composizione di Palazzo dei Marescialli e nelle sue scelte strategiche.
L’ESTENSIONE DEL RUOLO DELLE TOGHE
Argomenti divenuti di scottante attualità perché, spiega il primo presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce, il magistrato oggi non è più la “bocca della legge” come scriveva Montesquieu, ma svolge un ruolo più ampio di lettura, chiarimento, applicazione delle regole giuridiche.
Prova eloquente di tale mutamento è il verdetto pronunciato dalla Consulta sulla legittimità della legge elettorale Calderoli. ”Per questa ragione è più che mai necessario rigore, decoro, equilibrio, riservatezza, nell’esercizio dell’attività giurisdizionale”.
CAMBIARE L’ELEZIONE DEL CSM
E per lo stesso motivo, rimarca il giudice della Suprema Corte, bisogna ridurre lo strapotere dei gruppi organizzati di toghe. Realtà che in origine avevano esercitato un’opera di rinnovamento favorendo l’abbandono di posizioni corporative e di privilegio, ma che nel tempo hanno perso la loro tensione ideale imponendo la loro volontà su carriere, assegnazioni, trasferimenti dei magistrati.
La ricetta proposta da Santacroce per affrontare il problema è un nuovo meccanismo di voto per il Consiglio superiore, fondato sulla competizione tra liste concorrenti e voto singolo trasferibile: “Perché soltanto così ogni elettore può redigere autonomamente la propria rosa di candidati”.
NO AI GIUDICI-POLITICI
Allo scopo di rimuovere arbitri e sconfinamenti tra poteri, il giurista suggerisce di vietare il rientro nell’ordine giudiziario per i magistrati che siano stati eletti nelle istituzioni politiche. E di agevolarne il reinserimento nei gangli della pubblica amministrazione.
IL RUOLO AMBIGUO DEI PM
Ragionamento che deve valere per giudici e pubblici ministeri. Figure, queste ultime, che il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Gianfranco Ciani ritiene il vero enigma dell’ordinamento giudiziario italiano: “Le loro prerogative non sono mai state chiarite dalla Carta repubblicana e rimangono avvolte nell’ambiguità. La Costituzione si è limitata a prevederne l’autonomia rispetto al potere legislativo ed esecutivo. E non ha mai posto confini limpidi tra magistrati giudicanti e requirenti”.
COME RAZIONALIZZARE L’ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE
L’unico punto certo risiede nell’uniformità del lavoro delle procure, che ne bilancia la connotazione gerarchica stabilita dalla riforma Castelli del 2004. Allo stesso modo, osserva il giurista, il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è stato temperato dalla fissazione delle priorità investigative e processuali in ogni ufficio giudiziario.
Scelta che rischia di creare parametri differenti nelle varie procure provocando confusione nell’applicazione del diritto. Per risolvere la questione la Procura generale della Suprema Corte ha promosso un coordinamento tra i Pg delle Corti di Appello, al fine di trovare linee di fondo condivise.
IL CONSERVATORISMO DEI GIUDICI AMMINISTRATIVI
Tentativi e percorsi innovativi che hanno prodotto risultati tangibili. A conferma della validità di interventi riformatori cui non è ostile il vice-presidente del CSM Michele Vietti: “Talvolta il Consiglio ha offerto la percezione di comportamenti auto-referenziali. Per cui guarderei con favore un cambiamento del rapporto numerico tra membri togati e componenti di nomina parlamentare di Palazzo dei Marescialli, oggi fissato a 16:8”.
Ma per farlo, rileva l’ex responsabile giustizia dell’UDC, è necessario vincere le inevitabili resistente corporative. A cui si è aggiunta l’opposizione dei giudici amministrativi, “che hanno più volte esorbitato dalla sfera della loro giurisdizione e affermano una visione marcatamente gerarchica e di carriera della magistratura rispetto alla temporaneità dei ruoli e alla circolarità delle esperienze”.
NO ALLA RESPONSABILITA’ CIVILE DELLE TOGHE
Su un tema l’intero universo dei magistrati appare compatto: la radicale avversione alla responsabilità civile personale delle toghe che abbiano provocato danni ai cittadini per comportamento intenzionale, colpa grave, manifesta violazione delle regole giuridiche europee.
A farsene portavoce è Annibale Marini, presidente emerito della Corte Costituzionale e consigliere laico di centro-destra del CSM. Ai suoi occhi non può essere applicato ai giudici il principio del “chi sbaglia paga”, che rischia di confondere l’azione l’illecita con l’errore giudiziario. Per la prima, evidenzia, è sufficiente far valere la responsabilità disciplinare; il secondo può essere sanato tramite i normali ricorsi processuali.