Al fine di avere la supremazia in alcune zone economiche del globo, la Cina, a partire dalla metà del secolo scorso, ha iniziato una grande manovra di investimenti in Africa. Grazie allo sviluppo i rapporti bilaterali, cooperazione e aiuto, la Cina può garantire ai paesi Africani un enorme flusso di beni di consumo a buon mercato, prima preclusi a larghe fette di popolazione a causa degli alti costi dei prodotti occidentali.
UN PROGETTO PARTITO NEL 1955
La presenza della Cina in Africa era stata inaugurata da Mao Tse Tung (26 dicembre 1893 – 9 settembre 1976) e dal Partito Comunista Cinese (PCC) attraverso la posizione presa alla conferenza di Bandung del 1955. Nel corso dei decenni successivi la Cina ha stipulato accordi di cooperazione, tra i quali è emblematico l’impegno finanziario e tecnologico nella costruzione della ferrovia Tanzania-Zambia (TAZARA), che consentì una via di sbocco delle materie prime dallo Zambia collegando il centro del paese con il porto di Dar-El-Salaam in Tanzania. Il gigante asiatico si poneva ai paesi Africani come un’alternativa non solo al modello occidentale ma anche a quello delle superpotenze in genere, inclusa l’Unione Sovietica.
Gli investimenti cinesi in Africa si suddividono equamente tra pubblico e privato, con crescenti interessi in ambito manifatturiero; solo negli ultimi tempi si sono indirizzati anche verso operazioni di carattere finanziario, probabilmente per la facilità politica di acquistare quote di banche africane.
Il volume degli scambi commerciali tra Cina e Africa nel 2011 ha superato i 160 miliardi di dollari, circa il 20% in più rispetto all’anno precedente.
LA COMPETIZIONE CON L’OCCIDENTE
Il vero motivo per il quale la Cina è riuscita a prevalere in territorio africano, rispetto ai concorrenti occidentali, è dovuto al fatto che il mondo occidentale appariva troppo focalizzato sullo sfruttamento non bilanciato delle risorse e troppo impegnato sulla leva degli aiuti per imporre processi di democratizzazione. Pechino, al contrario, ha favorito un dialogo tra le parti interessate, portando sia un rapporto di mutuo beneficio (nel quale, in cambio di risorse, i singoli paesi ricevono realmente aiuti strutturali e strumenti che consentano loro di avviare un processo di autosufficienza) sia a processi di stabilità politica interna, indipendentemente dalla forma di governo che ogni singolo paese assume.
La creazione di un asse cinese di interesse sull’Africa, oltre a portare degli evidenti benefici alla Cina, assicurandosi una notevole quantità di materie prime, ha garantito a molti paesi africani la possibilità di costruire vie di comunicazione, scuole, ospedali e quindi di ammodernare le infrastrutture del continente.
Di contro gli africani spesso denunciano il carattere spoliativo (segregativo) degli investimenti cinesi, gli atteggiamenti poco rispettosi verso i lavoratori, l’incapacità di relazionarsi e integrarsi con le popolazioni locali. L’invasione di piccole imprese commerciali private preoccupa infatti molti abitanti dei paesi africani che temono così di avere ancora meno opportunità di lavoro. Queste preoccupazioni hanno portato infatti a momenti di tensione come il rapimento di 29 cittadini cinesi di una società affiliata al gruppo statale Sinohydro. Tensioni tuttavia risolte quasi sempre nella maniera più diplomatica possibile; la presenza cinese in Africa è davvero notevole ed il governo di Pechino si prodiga infatti a garantirne la sicurezza nella maniera migliore possibile.
Importante accordo internazionale che vede l’Africa tra i protagonisti consiste nell’ingresso del Sud Africa nel BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) nel 2011, trasformandola così in BRICS. Tale acronimo è stato creato nel 2001 dall’economista Jim O’Neill, per descrivere un gruppo di paesi, quasi tutti in via di sviluppo, che condividevano potenzialità enormi per divenire le potenze economiche del XXI secolo.
Secondo David Pilling “The trials of a reluctant superpower – 2 febbraio 2012; Financial Times”:
“proteggere i propri cittadini all’estero è difficile per qualsiasi nazione, ma potrebbe rivelarsi più difficile per la Cina, una superpotenza riluttante che vuole alimentare l’illusione di mantenere un basso profilo internazionale”.