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Ecco come e perché il ministro Pinotti ha difeso gli F-35

Il dibattito sugli F-35 non può ridursi all’acquisto o meno di un velivolo, ma deve contribuire a un ragionamento complessivo che attiene al Sistema Paese e alla sua proiezione strategica.

Con queste parole il ministro Roberta Pinotti, intervenuta ieri nelle commissioni Difesa di Senato e Camera, ha invitato a una lettura pragmatica delle esigenze dell’Italia relativamente alle capacità militari, alla struttura industriale e alla sostenibilità dei conti pubblici.

VOLANO PER LA RIPRESA

La Difesa, ha spiegato, non può essere considerata la Cenerentola della politica italiana, ma deve essere riconosciuta come uno degli ingranaggi fondamentali per rimettere in moto l’Italia.

L’analisi del ministro persegue uno degli obiettivi annunciati all’inizio del suo mandato, quello di ridurre le tensioni emotive che scuotono spesso il dibattito sulle spese militari.

La chiave di volta per la definizione di una strategia condivisa sul velivolo di Lockheed Martin è il Libro Bianco, il cui lavoro risulta già in stato avanzato ed è ora nella fase dell’ascolto delle parti, opinione pubblica inclusa.

IL CASO F-35

Il dossier F-35 rappresenta mediaticamente il caso più controverso ed è per questo che la Pinotti ha dedicato al programma Jsf una parte consistente della sua audizione parlamentare.

Se la commissione della Camera, ha “bocciato” i nuovi caccia, il ministro della Difesa ha ritenuto doveroso informare i parlamentari che quella risoluzione non tiene conto degli impegni presi con gli alleati della Nato, “implica oneri non trascurabili e, soprattutto, prospetta il rischio di causare effetti particolarmente negativi in termini di sostenibilità industriale”, i cui vantaggi sono stati evidenziati in un’analisi indipendente di PricewaterhouseCoopers e ricordati in una recente visita a Roma da Derek Chollet, segretario aggiunto per gli Affari della sicurezza internazionale presso il ministero della Difesa Usa.

POSTI DI LAVORO A RISCHIO

Se dovesse calare la produttività dello stabilimento di Cameri (“unico sito produttivo dell’F-35 al di fuori degli Stati Uniti”, ha ricordato la Pinotti), “le commesse internazionali provenienti dagli altri Paesi che hanno deciso di acquisire questi velivoli sarebbero inesorabilmente dirottate verso lo stabilimento statunitense”. Inoltre: “altri Paesi, in Asia e in Europa, stanno investendo risorse per acquisire una certa capacità produttiva. Noi siamo partiti per primi e, al momento, abbiamo un vantaggio temporale non indifferente, che deve però tradursi in un vantaggio competitivo, attraverso quel processo di apprendimento, ottenuto mediante la progressiva crescita dei ritmi di lavoro, che riduce i costi. Se ci fermiamo ora – è la conclusione – gli altri potranno sorpassarci e, a quel punto, sarà molto difficile domani riconquistare il terreno perduto”.

LA VISITA A WASHINGTON

L’appello del ministro arriva alla vigilia di una missione a Washington, mentre proprio dal Pentagono arriva un’altra notizia positiva riguardante il velivolo.

Secondo un’analisi citata da Bloomberg, il costo previsto per aggiornare i caccia di Lockheed Martin Corp è diminuito di circa 920 milioni dollari, circa il 36 per cento, in meno di due anni.

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