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Tutte le fandonie sul petrolio che appestano il Parlamento. Terza puntata

L’energia in Italia costa troppo, ha denunciato pochi giorni fa nella sua relazione annuale 2014 il presidente dell’Autorità per l’Energia, Guido Bortoni.

La ragione risiede non solo nei riverberi delle crisi libica, ucraina e irachena, ma anche nei troppi oneri fiscali, in una rete spesso inefficiente, un mercato ancora poco liberalizzato ma, soprattutto, nell’alta dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero.

Nel sottosuolo e al largo delle coste italiane si trovano tuttavia rilevanti giacimenti di idrocarburi. Secondo stime di esperti, la Penisola sarebbe infatti al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord (Norvegia e UK), mentre nel gas si attesterebbe in quarta posizione per riserve e solo in sesta per produzione.

Risorse che però spesso – come denunciato sul Messaggero dall’ex presidente del Consiglio Romano Prodi – non vengono sfruttate a causa dell’opposizione delle comunità locali e degli stessi amministratori, preoccupati per le proteste (esemplare il progetto della piattaforma petrolifera Ombrina Mare, che Medoilgas Italia sta sviluppando al largo delle coste abruzzesi, ma che non riesce a concludere a causa di veti incrociati).

Il governo Renzi vorrebbe ovviare a questi problemi con un provvedimento sulle attività di estrazione a mare attualmente in discussione ed approvazione presso i due rami del Parlamento. Una direzione di marcia precisa per poter aumentare la produzione di idrocarburi in Italia, come ha detto senza mezzi termini il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. E parole inequivoche sono state espresse anche dal ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti in materia di trivellazioni in Adriatico.

Permangono i malumori e gli allarmi di alcune forze politiche presenti nell’emiciclo, che sono però messi in discussione da un report, redatto da addetti ai lavori, che circola in Parlamento. Nel testo vengono smontate punto per punto, dati alla mano, alcune delle critiche affermazioni più ricorrenti nelle proposte di legge “antagonistiche” e “veteroambientaliste” in Parlamento e relative al settore oil&gas, con particolare attenzione all’off-shore.

Ad esempio: è vero che nel corso degli ultimi 30 anni si sono verificati numerosi gravi incidenti che hanno interessato le piattaforme marine per l’estrazione di idrocarburi in diverse aree del mondo, dalle coste del Messico alla Norvegia, dalla Nigeria all’oceano Indiano, che hanno avuto effetti molto pesanti e duraturi sull’ecosistema marino.

Secondo il report assolutamente no, dal momento che il riferimento, spesso usato, a questi incidenti, non è indicativo dell’indice di rischio e non trova riscontro nella storia di queste attività nel Mediterraneo.

Il settore estrattivo petrolifero in Italia – secondo il il documento “EU Proposal for offshore Safety Regulation” – ha una lunga tradizione, ma soprattutto ottime performance in termini di sicurezza: basandosi sui dati registrati per le compagnie petrolifere italiane che operano nel settore offshore sia nelle acque territoriali italiane che all’estero, si evidenzia che il dato statistico circa le performance in termini di blow-outs nel periodo di riferimento 2000-2010 è pari a zero nell’offshore italiano e ad 1,22/1000 pozzi nell’offshore mondiale.

Il dato relativo invece agli operatori europei in termini di percentuale di blow-outs nello stesso decennio – conclude il report – è pari a 1,8/1000 pozzi.

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