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Che cosa può fare l’Occidente per salvare l’Irak

L’ISIS non è più solo un’organizzazione terroristica. Lo dimostrano la sua rapida avanzata lungo la vallata del Tigri, travolgendo le forze governative. Non dispone degli effettivi necessari per occupare Baghdad, città di quasi 10 milioni di abitanti, in maggioranza sciiti. Metà delle quindici divisioni dell’esercito iracheno sono sbandate. L’ISIS si è impossessato delle loro armi.

L’APPELLO DI AL-SISTANI

Una controffensiva da parte del governo dipende dalle milizie sciite, mobilitate dal Grande Ayatollah, al-Sistani, per difendere i luoghi sacri dello sciismo: Najaf a Karbala. Per i sunniti si è trattato di una fatwa che proclama la jihad contro di loro. Le milizie sciite sono poco addestrate, nonostante l’appoggio che ricevono dai pasdaran iraniani. Possono forse difendere le città, combattendo strada per strada. Non potranno però effettuare azioni offensive in profondità. Con le loro probabili rappresaglie contro i sunniti, li metteranno tutti dalla parte dell’ISIS. Inoltre, molte fanno capo a partiti sciiti contrari a Nouri al-Maliki. Se dovessero vincere, non deporranno le armi. L’Iraq rischia di cadere in un caos simile a quello libico.

UN GOVERNO DI RICONCILIAZIONE

Gli USA pensano che l’ISIS possa essere battuto con un governo di riconciliazione nazionale, che superi il settarismo sciita di al-Maliki. In tal modo, pensano che i sunniti potrebbero appoggiare il governo. Condizionano all’allontanamento di al-Maliki gli aiuti USA e l’eventuale loro appoggio aereo. Il nostro Ministro degli esteri fantastica di “bacchette magiche” di non precisate soluzioni politiche. Statisticamente, le guerre etnico-religiose ricominciano dopo cinque anni dagli accordi di pace. Le violenze hanno rafforzato odi e identità. I bombardamenti farebbero solo solletico all’ISIS. Ucciderebbero solamente un po’ di civili. Le soluzioni politiche sono chiacchiericci da salotto; nel caso migliore, semplici illusioni.

L’AGO DELLA BILANCIA

L’ago della bilancia in Iraq potrebbe mutare solo con l’intervento contro l’ISIS dei 190.000 peshmerga del Kurdistan iracheno (KRG), oppure con l’arrivo di un nuovo Petraeus capace di separare le milizie tribali sunnite dall’ISIS. Senza di esse, quest’ultimo crollerebbe. Come vedremo, si tratta di eventualità del tutto improbabili.
Ma come si spiegano i successi dell’ISIS? Quali ne sono le capacità? Si è impadronito, oltre che di armi sofisticate, pagate – tanto per cambiare – dagli USA, d’ingenti fondi, sequestrati alle banche delle città conquistate. Certamente, con i suoi successi, sono aumentati gli aiuti degli Stati del Golfo. I suoi successi e anche le immagini delle violenze compiute gli hanno procacciato nuovi reclutamenti e sostenitori. L’ISIS è ormai divenuto il nucleo duro delle insurrezioni sunnite in Iraq e in Siria, che potrebbero estendersi alla Giordania e forse al Libano. Il sogno dell’unità dell’Ummah islamica e della ricostituzione del Califfato sembra diventato realtà.

L’AVANZATA DELL’ISIS

La rapida avanzata dell’ISIS lungo la vallata del Tigri ha colto tutti di sorpresa. Non è dovuta solo di un colpo di fortuna e al collasso delle forze governative. I suoi successi denotano un’accurata preparazione politico-strategica, una buona capacità di comando e controllo operativo e un’eccellente intelligence. Essi derivano dal fatto che con l’ISIS operano molti ex-ufficiali di Saddam Hussein e gran parte delle agguerrite milizie sunnite.
L’azione dell’ISIG in Iraq è iniziata con attacchi terroristici, diffusi in tutto il territorio iracheno. Dapprima, essi avevano l’obiettivo di terrorizzare la popolazione sciita e d’indebolire il governo, stimolando la già forte repressione dei sunniti. Poi, sono stati rivolti contro le forze militari e di polizia, soprattutto nella regione di Mosul. Le hanno demoralizzate e indebolite. Nel frattempo, al-Maliki inaspriva la discriminazione dei sunniti, spingendoli a sostenere l’ISIS.

LE CELLULE DORMIENTI

La travolgente avanzata dell’ISIS da Mosul a Baghdad è stata facilitata dall’attivazione di cellule terroristiche “dormienti”, che hanno bloccato i collegamenti fra il Nord e il centro del paese. La sincronizzazione fra l’avanzata dell’ISIS, le milizie tribali sunnite e la rete terroristica jihadista è stata eccellente. L’avanzata verso Sud è stata accompagnata da una martellante guerra psicologica, basata sulla diffusione del terrore, con un efficace uso dei social networks, su cui sono state trasmesse immagini di fucilazioni e decapitazioni. Noi occidentali seguiamo il principio “a nemico che fugge, ponti d’oro”, in modo da non indurlo a combattere con le spalle al muro. L’ISIS ha seguito una logica diversa, simile a quella adottata dai suoi predecessori: al-Qaeda in Iraq e lo Stato Islamico dell’Iraq. Allora gli esiti erano stati disastrosi. I sunniti della provincia Anbar si erano ribellati contro i loro eccessi, condannati anche da al-Qaeda. I qaedisti furono quasi completamente eliminati.

QUADRO MUTATO

Oggi, le cose sembrano andare in senso opposto. Anche al-Nusra (Fronte della Vittoria), braccio di al-Qaeda in Siria, che si era opposto all’ISIS, oggi lo sostiene. I sunniti sembrano temere più la vendetta sciita che le brutalità dell’ISIS. Gli rimarranno fedeli. Ma una cosa è battere le demoralizzate forze governative e le disorganizzate milizie sciite. Tutt’altra è controllare il territorio e trasformare in politica la vittoria militare. L’unica soluzione che sembra possibile è divisione del paese. Presuppone un’equa divisione della rendita petrolifera. Sarebbe comunque seguita da sanguinose pulizie etniche. Solo dopo il successo, il campo sunnita potrebbe dividersi. Però, sarà il caos come in Libia.

INSURREZIONI CONNESSE

Le insurrezioni sunnite in Iraq e Siria sono sempre più connesse. Ad esse, si sovrappongono le guerre per procura di attori esterni, che cercano di crearsi aree d’influenza. Esse sono sia regionali – fra Arabia Saudita, Iran e Turchia – sia globali. Coinvolgono gli USA, mentre la Russia, sorniona, sta a guardare. Cerca però di sabotare un’intesa fra Washington e Teheran. Si tratta di un complesso e dinamico groviglio di alleanze e d’interessi spesso contraddittori. Taluni fatti sono indecifrabili. Le forze di Assad stanno concentrando i loro sforzi contro gli insorti moderati, non contro l’ISIS, che ha trasferito in Iraq molte delle sue forze. Contro di essi ha impiegato l’aviazione, evidentemente senza concludere nulla se non l’uccisione di decine di iracheni. Riad sostiene la doppia rivolta sunnita, ma combatte l’ISIS sul proprio territorio. La dinastia saudita teme di essere delegittimata dal programma pan-islamista del gruppo, simile a quelli di al-Qaeda e anche della Fratellanza Musulmana, messa fuori gioco dal nuovo regime egiziano. Un califfato eroderebbe le basi del potere della famiglia al-Saud. Riad è poi contraria ad al-Maliki, che critica per il suo settarismo sciita, per i suoi legami con Teheran, per l’emarginazione della minoranza sunnita e per il sostegno dato ad Assad. Non vuole però la divisione dell’Iraq, che porrebbe il Sud del paese alla mercé di Teheran e che metterebbe in discussione lo status territoriale dell’intero Medio Oriente, cancellandone i confini tracciati dagli accordi Sykes-Picot.

L’ACCORDO FRA IRAN E USA

Teme, soprattutto, un accordo fra l’Iran e gli USA. In questo concorda con la Russia. Mosca ha interesse che continui il conflitto in Siria, dove vengono uccisi estremisti ceceni, e anche in Iraq. Quest’ultimo, aumenta il prezzo del petrolio. La sottrazione al mercato dei 3,5 barili di petrolio al giorno iracheni aumenta gli introiti di Mosca e rende improbabili le temute sanzioni occidentali contro il petrolio russo. Israele se ne sta zitto. Forse spera che parte dei palestinesi emigri nel nuovo emirato siro-iracheno.
Potrebbero, invece, approfittare di un successo dell’ISIS i 30 milioni di curdi, la più numerosa nazione senza un proprio stato, divisi fra Turchia, Iraq, Siria e Iran. Hanno occupato Kirkuk, la loro storica capitale. Usano molta cautela sulla questione dell’indipendenza del Kurdistan iracheno. La Turchia l’appoggia e fa ottimi affari con Arvil. Non ha però risolto il problema curdo al suo interno. Per intervenire, il KRG ha bisogno del placet di Ankara e di Washington. Solo con essi potrà superare l’opposizione iraniana a un’iniziativa curda. La geopolitica del Medio Oriente ne risulterebbe ulteriormente modificata.

LA STRATEGIA DI AL-MALIKI

Il diktat USA di subordinare il loro appoggio contro l’ISIS alla formazione di un governo di unità e di riconciliazione nazionale è stato respinto da al-Maliki. Forse il premier spera nell’appoggio iraniano. Afferma che la soluzione violerebbe la costituzione e la volontà degli elettori iracheni. Il 1° luglio riunirà il parlamento, dove ha però solo il 27% dei seggi. Gli altri due partiti sciiti ne pretendono la sostituzione. E’ comprensibile che al-Maliki voglia mantenere il potere. In Iraq, i cambi di governo sono avvenuti spesso con l’eliminazione del capo di quello precedente. Penso che anche gli USA si rendano conto che una vittoria sull’ISIS richieda molto più di un cambio di premier e che, dopo tante violenze, non siano possibili né una riconciliazione nazionale, né il mantenimento dell’unità del paese. Forse, la sorte dell’intero Medio Oriente dipenderà da ciò che deciderà la Turchia. Al riguardo, va tenuto conto dell’impatto che, sulle decisioni di Ankara, avrà la nuova situazione in Ucraina e nel Mar Nero, e il fatto che un intervento diretto o indiretto della Turchia la porrebbe in rotta di collisione con l’Iran.


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