Due vecchie potenze hanno certificato l’esistenza in vita del calcio europeo. In attesa di battersi fino all’ultimo gol ai Quarti. Una antica consuetudine, del resto. Un tempo si scannavano in conflitti veri, come nel corso del XIX secolo e nei primi vent’anni del XX, la Germania e la Francia. Erano i focolai delle guerre civili continentali: adesso, sono fortunatamente unite nello sbarrare il passo alle emergenti potenze africane.
Il calcio come metafora: c’è chi ne dubita ancora?
Contro l’Algeria l’una e la Nigeria l’altra, stavano per soccombere. Diciamoci la verità, tanto i tedeschi quanto i francesi hanno dovuto mettere in campo più il peso del loro orgoglio, da inguaribili colonialisti, che le virtù sportive che pure possiedono in copiosa quantità per aver ragione delle due compagini avversarie sul punto di issare le loro bandiere su un Mondiale a dir poco compromesso per il Vecchio Continente.
I giornali transalpini, ma anche quelli nostrani, hanno fatto a gara nel sottolineare, mentendo, le “grandiose” prestazioni di Germania e Francia. Ma non hanno scorto dietro l’arrancare delle due compagini una vitalità tecnica ed agonistica alimentata dalla disperazione che strideva con il cannoneggiamento gioioso di algerini e nigeriani ai quali soltanto la fortuna è mancata, non certo il gioco e l’eleganza nel proporsi come espressioni di una terza forza calcistica, tra quella europe e quella sudamericana, che difetta soltanto di organizzazione per potersi imporre ai livelli più alti.
D’accordo, quasi tutti i nigeriani e gli algerini militano nei campionati europei e spesso, insieme agli ivoriani, ai ghanesi, ai camerunesi, ai marocchini e ai senegalesi fanno le fortune di club che li strapagano e li coccolano. Ci devono per questo qualcosa a noi europei? Non diciamo sciocchezze. Senza di loro il nostro movimento calcistico continentale sarebbe indiscutibilmente più povero: gli africani hanno assimilato il meglio che gli europei hanno lasciato cadere, dimenticandolo per le vie accidentate delle politiche dei club sulle quale s’incontrano ormai mendicanti del pallone che devono agli immigrati di lusso i successi di cui beneficiano.
La gloria della Francia o della Germania, dell’Olanda e di poche altre rappresentative nazionali si è ridotta a ben poca cosa. Se l’Europa è costretta ad attaccarsi alla Svizzera e al Belgio, che non finiremo mai di ringraziare per il calcio che hanno fatto vedere a fronte di quello prodotto (per così dire) dall’Italia, dall’Inghilterra, dalla Spagna e dal Portogallo, vuol dire che è ridotta piuttosto male.
Sia, dunque, lode a Germania e Francia, ma riconosciamo l’umile grandezza di algerini come Rais (un altro fenomenale portiere, il migliore in campo insieme con il suo collega tedesco Neuer), Ghoulam, Soudani, Slimani e dii nigeriani del rango di Eneyama (un altro eccellente estremo difensore), Moses, Onazi, Musa per il calcio che praticano, per la formidabile tenacia con cui inseguono vittorie che spesso stupidamente vengono ritenute impossibili. Il calcio che ci fanno vedere una volta lo cercavano e lo trovavamo sui campi sudamericani. Non è più così. Colombia a parte. Almeno fino a oggi.