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Così Israele ha evitato il tranello di chi non vuole la pace. Parla Dottori

Dopo giorni di ricerche, l’esercito di Tel Aviv ha ritrovato ieri sera i cadaveri dei tre ragazzi israeliani rapiti in Cisgiordania. Una circostanza drammatica, ma che non mette a repentaglio il percorso di pace intrapreso da Israele e Palestina.

A crederlo è Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss e curatore del rapporto “Nomos e Kaos” di Nomisma, che in una conversazione con Formiche.net spiega e analizza che cosa accade nella regione.

Professore, la morte dei tre ragazzi israeliani rapiti mette a repentaglio il percorso di pace tra Israele e Palestina?
Secondo me, no. Ci sono novità importanti e positive in Medio Oriente, anche in quelle zone, ma non bisogna dimenticare che si tratta di società molto complesse.

Eppure sembra passato un secolo dalla preghiera in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen.
Credo che questa volta gli israeliani non siano caduti in un tranello che gli viene teso spesso. C’è chi prova a guadagnare consenso sparigliando le carte e sapendo bene qual è la reazione di Tel Aviv. La cultura politico-strategica di Israele la porta a rispondere a episodi di questa violenza con forti rappresaglie. Stavolta invece la reazione è stata ferma, ma contenuta, segno che qualcosa è cambiato.

Chi sono gli attori che puntano a destabilizzare?
Tra questi vi sono frange minoritarie di Hamas che non condividono il percorso di dialogo e gruppi jihadisti.

Nel cambiamento d’Israele c’è anche un suo ruolo differente nella regione?
Non si può non tenere conto del legame speciale che Tel Aviv ha stretto con i sauditi. Verso questi ultimi Israele nutre un discreto senso di riconoscenza per aver portato a compimento la controrivoluzione egiziana, che ha allontanato la minaccia di avere la Fratellanza Musulmana al di là dei propri confini. Anche per questo non può o non se la sente di esagerare nelle risposte contro Hamas. Anzi ha dato prova di moderazione, a dispetto delle pressioni interne che spingono chi è al governo a un maggiore interventismo per scacciare i timori che le tragedie del passato, come l’Olocausto, possano ripetersi.

E invece Hamas come si pone in questo nuovo equilibrio?
Un punto interrogativo finale riguarda proprio l’organizzazione. Non è di dominio pubblico se al momento ci sia un accordo regionale tra Hamas e Fatah. Ma se questa intesa esiste, Israele ne è sicuramente al corrente e per questo avrebbe potuto decidere di osservarne da lontano l’evoluzione.

Quali reazioni aspettarsi da attori esterni come gli Usa, la Russia o lo stesso Papa Francesco che aveva chiesto maggiore dialogo tra le parti?
Se ne terranno fuori, almeno per il momento. Ritengo che ciò che accade attenga quasi esclusivamente a dinamiche locali e non ad equilibri extra-regionali, come il conflitto siriano o quello iracheno.



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