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Le armi chimiche di Assad non sono un pericolo per Gioia Tauro. Parla Alli (Ncd)

È in corso nel porto di Gioia Tauro il trasbordo dei 78 container di armi chimiche dell’arsenale del regime siriano di Bashar al-Assad. Il carico passerà dal cargo danese Ak futura al mercantile americano Cape Ray, attrezzato per neutralizzare gli agenti e impedire che possano servire alla fabbricazione di ordigni.

Un’operazione discussa, ma assolutamente non complessa e persino innocua, spiega in una conversazione con Formiche.net Paolo Alli (Ncd), componente della commissione Affari esteri e vicepresidente della delegazione parlamentare presso l’Assemblea parlamentare della Nato, che con altri parlamentari ha ispezionato il sito e la nave ormeggiata in Italia.

Onorevole, com’è andata l’ispezione della Cape Ray?
Estremamente bene. Gli americani, con cui ci eravamo già confrontati a lungo sul tema, si sono dimostrati molto aperti e trasparenti a ogni tipo di domanda e hanno consentito di scattare immagini e girare filmati. Abbiamo così potuto verificare nel dettaglio il rispetto di ogni procedura.

Gli Usa come hanno valutato la gestione italiana dell’operazione?
Da parte degli Stati Uniti c’è stato un ringraziamento sincero, manifestato anche pubblicamente. Altre nazioni avevano rifiutato di mettere a disposizione i loro porti per il trasbordo.

Perché le polemiche, poi sopite, della vigilia?
Temo a causa di una scarsa comunicazione. In primo luogo da Gioia Tauro non passano armi come il gas nervino, ma le sostanze con le quali queste vengono prodotte, ma 570 tonnellate di iprite e precursori del sarin. Non esiste un pericolo di esplosione. E poi non è previsto un deposito a terra dei 78 container, ma solo un trasbordo dal cargo danese Ak futura al mercantile americano Cape Ray. Sarà un’operazione di assoluta routine, che prevederà misure di sicurezza aggiuntive. Oltre al totale isolamento e alla sorveglianza capillare, l’operazione verrà effettuata al ritmo di 5-6 container l’ora, rispetto ai 30 abituali. Solo allora si provvederà al processo di neutralizzazione degli agenti chimici.

Non c’è nessun pericolo nemmeno durante questa seconda fase?
Assolutamente no. Il processo di neutralizzazione avviene in modo semplice, con una pratica collaudata da oltre 40 anni. Si tratta dell’idrolisi, che consiste nel diluire l’agente nell’acqua finché non ne vengono neutralizzati gli effetti. Una volta fatto ciò, i residui saranno bruciati in inceneritori situati in Germania o in altri Paesi europei. Anche gli stessi arsenali americani sono stati smantellati in questo modo.

Come mai l’operazione di neutralizzazione si svolgerà in mare e non sulla terraferma? C’entrano forse le infiltrazioni della ‘ndrangheta temute dagli americani (raccontate da Giorgio Ponziano su Italia Oggi)?
Per la prima volta un’operazione del genere verrà svolta in mare, ma ciò dipende da diversi fattori. Non c’era molto tempo per attrezzare un’area allo scopo e farlo avrebbe comportato un esborso di circa 100 milioni di dollari. Svolgere questo lavoro sulla nave, della durata di due mesi e con la supervisione d’ispettori dell’Opac (l’organizzazione internazionale per la proibizione delle armi chimiche), ne costerà solo 5. Un risparmio notevole. A quanto mi risulta l’ipotesi di effettuare l’operazione in Italia non è stata mai presa in considerazione. Si è solo provato a farlo in Albania, ma il governo ha negato l’autorizzazione.

Dove si svolgerà l’operazione per rendere innocui gli agenti chimici?
Questo è l’unico punto sul quale, per ovvie ragioni di sicurezza, gli Usa intendono mantenere fino ad operazione avvenuta uno stretto riserbo. Con molta probabilità sarà nel Mediterraneo, qualche voce suggerisce a sud della Grecia. Ad essere chiari sono sicuramente i criteri con cui è stato scelto il luogo: punti stabili e senza correnti importanti che renderebbero necessario fermare i lavori; e il meno possibile interessati da rotte mercantili e militari per non avere interferenze. Anche in questo caso l’Italia offrirà il proprio contributo, scortando con una propria nave la Cape Ray e creando con altre imbarcazioni un cordone per rendere maggiormente sicura l’operazione.

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