Vittorio Feltri che cita le fonti della velina anti Boffo? Non ha tutti i torti, dice a Formiche.net il direttore del Garantista Piero Sansonetti, secondo cui in questo caso si trattava di una trappola ed è stato legittimo rivelare chi gli ha organizzato quella trappola.
Feltri davanti ai pm ha fatto i nomi di Bertone, Bisignani e Santanchè: un errore rivelare la genesi di quella velina su Boffo?
Ha detto che era una bufala, quindi perché avrebbe dovuto tacere? Non ha tutti i torti. Il segreto professionale riguarda fonti riservate che ovviamente sono tue e ti forniscono notizie buone. Per cui hai il dovere di proteggerle. In questo caso si trattava di una trappola ed è stato legittimo rivelare chi gli ha organizzato quella trappola.
Feltri non ha invocato il segreto professionale perché – dice – “sarebbe stato assurdo coprire una fonte infedele imbrogliona”. Ha ragione?
Tre anni prima del caso Boffo mi era stata offerta la stessa polpetta avvelenata. Allora dirigevo Liberazione e me la portò il mio vaticanista, Fulvio Fania. Credo l’avesse avuta più o meno dalla stessa fonte, era già da parecchio tempo che qualcuno all’interno del Vaticano cercava di far fuori Boffo. La valutammo e la scartammo senza preoccuparcene troppo per una ragione abbastanza semplice: non c’era la notizia.
In che senso?
Che Boffo fosse omosessuale o meno non ci interessava in alcun modo, per cui decidemmo di non fare quell’operazione. Punto. Il Giornale fece un’altra scelta. Dopo di che, la discussione sul fatto che la polpetta fosse avvelenata mi sembra inutile.
Feltri, con una battuta, ha detto che lui e Sallusti sono come Bruti Liberati e Robledo…
Beh, se non dovesse intervenire il Csm penso che dovranno continuare a stare insieme, così come Bruti Liberati e Robledo. Del resto è la cosa più nota al mondo che i giornalisti di successo, specie se molto vicini e specie se allievo e maestro, sono destinati a confliggere. Cedo che finiranno per convivere tranquillamente. Tra l’altro è vero che Feltri non aspira a dirigere alcunché, dal momento che fino ad oggi ne ha diretti di quotidiani prestigiosi. Quindi sta bene dove sta.
La deontologia rischia di diventare un vaso di Pandora, senza più controllo?
Il giornalismo è basato da sempre sulla non deontologia e i giornalisti sono mascalzoni. In una categoria come questa parlare di deontologia è folle. Nel caso del medico è una cosa seria, perché egli ha dinanzi a sé la cura del malato e misura umanamente il proprio successo e persino il proprio narcisimo sulla capacità di cura. Quindi la deontologia nella medicina ha un senso profondo. Così come l’ingegnere che costruisce un ponte misura la sua deontologia sul fatto che quel ponte regga. Esistono naturalmente medici e ingegneri felloni.
Nel giornalismo invece?
Il giornalista misura il proprio successo nella capacità di fregare l’oggetto delle informazioni a chi gliele fornisce e al collega che non le ha avute. Il famoso buco. L’idea che possa esistere una deontologia del giornalista è il massimo dell’ipocrisia. Bisognerebbe stabilire come frenare una professione pericolosa, dal momento che i giornalisti sono mine vaganti che possono annientare, così come i magistrati.
Ci sarà sempre funzionante una macchina del fango?
Essa è il motore sempre acceso del giornalismo. Non che lo condivida, ma è così da sempre e considero ipocrita addurre la deontologia professionale: non diciamo balle. Io ad esempio sarei per proibire la pubblicazione delle intercettazioni.
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