I fatti di Rosarno lo hanno insegnato: anche in Italia avvengono episodi di schiavismo e di violazione dei diritti umani dei lavoratori. E non è soltanto per i vestiti provenienti da Paesi come il Bangladesh che bisogna chiedersi qual è l’origine dei prodotti che consumiamo.
Le proteste dei raccoglitori di arance nella provincia di Reggio Calabria avvenute all’inizio del 2010 hanno gettato una luce sulla piaga del cosiddetto “caporalato”, fenomeno che prende il nome dai “caporali” che reclutano manodopera imponendo turni di lavoro massacranti per paghe indecenti, e che oggi riguarda prevalentemente gli africani. Edilizia e agricoltura i settori dove il fenomeno è più diffuso.
Ed è dai campi della Puglia che arriva una bella notizia. Quest’anno, per la prima volta, sarà prodotto il pomodoro etico. Le aziende, sia agricole sia della trasformazione industriale, in grado di dimostrare di non aver utilizzato nei cicli di produzione manodopera non inquadrata contrattualmente, potranno ottenere il bollino “Equapulia no lavoro nero”. Un marchio di legalità, dunque, e non di semplice qualità, che comparirà sulle confezioni di pelato trasformato quest’anno in Capitanata, la provincia di Foggia, la più importante al Sud per volumi di fatturato e lavoratori impegnati (20mila) nella raccolta di pomodori.
Il 23 giugno, in prefettura a Foggia, c’è stata la firma del protocollo d’intesa per il riconoscimento della “certificazione etica regionale”, alla presenza dell’assessore regionale alla Legalità Guglielmo Minervini, e davanti alle organizzazioni professionali Confagricoltura, Cia e Copagri (Coldiretti ha preso l’impegno di aderire).
Il pomodoro etico guarda anche alla supply chain. In base all’articolo 5 del protocollo, le aziende aderenti si impegnano a promuovere la certificazione, operando il massimo controllo del rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori da parte di aziende fornitrici di prodotti ortofrutticoli locali.
Al protocollo hanno già aderito numerose aziende agricole, come La Palma, San Michele, Mediterraneo, Conapo, Biorto, Agricola De Feo. Il mondo della trasformazione è presente con Futuragri, 500mila quintali di pomodoro trasformato. Per la grande distribuzione organizzata, al momento ha risposto soltanto Coop Estense, mentre alla firma del protocollo d’intesa erano assenti big quali Auchan (che però ha inviato una lettera di interesse) e Princes, la multinazionale britannica che in Puglia ha il più grande stabilimento conserviero d’Europa (anche il gruppo di sua Maestà sembra però aver dato segni di interesse all’adesione).
Nei prossimi giorni le imprese agricole aderenti riceveranno un disciplinare di produzione e sarà aggiornata la white list delle aziende che aderiscono al piano. Il passaggio successivo sarà il reclutamento del personale attraverso le liste di prenotazione nei centri per l’impiego.
Il progetto servirà a liberarsi della vergogna della Puglia, il ghetto di Rignano Garganico, il maxi accampamento abusivo che con i servizi mandati in onda dai network francesi e tedeschi è uscito dai confini nazionali. Rignano è un villaggio spontaneo di braccianti immigrati che vivono in baracche costruite con mezzi di fortuna, prive di servizi essenziali come acqua, servizi igienici, luce, gas. Il ghetto ospita 1.500 persone durante l’estate, 500/600 durante gli altri periodi dell’anno.
Presto potrebbe arrivare il bolllino etico anche per le angurie del Salento: a Lecce in prefettura a metà giugno si è svolto un vertice tra sindacati e aziende. Altro bollini servirebbero per sanare l’Italia.
Secondo il rapporto sulle agromafie curato dell’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai Cgil sono almeno 80 nel nostro Paese i distretti agricoli in cui si pratica il caporalato: in 33 si sono riscontrate condizioni di lavoro indecenti, in 22 di lavoro gravemente sfruttato. Il 62% dei lavoratori stranieri stagionali non ha accesso ai servizi igienici, il 64% all’acqua corrente e il 72% presenta malattie che prima dell’inizio della stagionalità non si erano manifestate.