Un’opera d’arte può valere più di un trattato universitario di mille pagine. E’ il caso dell’abito-scultura di Valeria Catania, che verrà esposto in occasione delle giornate romane dell’alta moda nello Studio S di via della Penna, e che è stato possibile ammirare in anteprima (l’inaugurazione è in programma il 15 luglio).
E’ una raffinatissima opera che fa parte delle serie dei “profili” dell’artista di origine leccese, e che centra l’attenzione sul rapporto tra la modernità e gli esseri umani. Già, perché quei profili che costellano il suo lavoro vogliono riportare il pubblico alla radice lessicale (e non solo) del termine, attualmente “diluito” perché scelto dai “decisori globali” per rappresentare molteplici significati pop: e più diffusamente nell’ambito di internet, dove il profilo viene innanzitutto associato ai social network, dove le persone in carne e ossa rischiano di diventare strumenti al servizio della rete.
Esemplare, da questo punto di vista, quanto si legge su Wikipedia, la fonte primaria degli internauti: “Un profilo utente è una fonte di dati relativa a tutte le informazioni dell’utente che possono essere impiegate per determinare il comportamento del sistema”. E ancora: “I profili utente vengono utilizzati in parecchi ambiti dell’informatica e consentono al sistema di fornire servizi personalizzati o adattati”, e “le informazioni del profilo utente possono essere utilizzate anche per servizi di tipo comunitario o collaborativo, per far beneficiare il gruppo di informazioni individuali e viceversa. Un esempio sono i siti di e-commerce che suggeriscono articoli sulla base delle preferenze individuali e degli acquisti eseguiti dagli altri utenti”.
Frasi che fanno pensare a una persona che viene “annullata”, che perde la sua centralità fisica e intellettuale, a tutto vantaggio della virtualità, dove l’essere umano si trova scarnificato e senza più coscienza, ridotto semplicemente alla funzione di “titolare” di un bancomat: la forza del messaggio di Catania, degno del filosofo e teorico Marshall McLuhan per la capacità di interpretare gli effetti prodotti dalla comunicazione sulla società e sui singoli, è quella di saper attirare l’attenzione sul dramma contemporaneo che vive l’essere umano, volente o nolente sconvolto dalle nuove tecnologie.
Guardare oggi l’opera di Catania serve anche a rileggere le parole di McLuhan, capace di scrivere che “solo l’artista può riconoscere la pericolosità dell’intorpidimento sociale creato dai media in quanto uomo della consapevolezza integrale”, che “oggi il tiranno non governa più con il bastone o con il pugno di ferro ma, travestito da ricercatore di mercato, pascola il suo gregge sui sentieri della praticità e della comodità”, senza dimenticare che “una volta che abbiamo consegnato in nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre”.
Catania, che vanta un curriculum artistico internazionale (a cominciare dalla partecipazione alla Biennale di Venezia) ha progettato questo abito-scultura per accompagnare le prossime giornate dedicate alle sfilate di moda, ottenendo l’immediato plauso da parte del vertice di AltaRoma. La sensibilità dell’artista ha permesso di avvicinare al mondo della creatività, in questi anni, anche i non vedenti, frutto delle iniziative sperimentate nel Macro di Roma in tema di esperienze tattili, e i reclusi con i laboratori per i carcerati nel penitenziario di Rebibbia, dove a decine di detenuti viene permesso di tornare a sperare in un futuro. E’ una capacità rarissima, quella di Catania, di attraversare liberamente spazi non convenzionali per diffondere il verbo dell’arte, tanto che in quei profili realizzati nell’abito-scultura, che proiettati su un muro danno vita a una lunga serie di ombre, possiamo trovare anche il nostro.