Gli arzigogoli barocchi per la composizione della nuova Commissione guidata da Juncker non sono un bello spettacolo. Eppure le decisioni che si prenderanno in questi giorni sono destinate ad incidere, e non poco, sugli equilibri europei.
Renzi ha voluto scommettere sulla posizione chiave della politica estera e di sicurezza ed ha puntato sulla Mogherini. La scelta può essere discutibile ma ha l’indubbio pregio della chiarezza. La sfida del Vecchio continente è concentrata su due pilastri: quello finanziario e quello internazionale. La richiesta italiana è quindi sensata, e ambiziosa.
La reazione (di sostanziale ostilità) che si è registrata attorno al nome della Mogherini – compensate dalle indiscrezioni di un sostegno più favorevole all’ipotesi di Enrico Letta presidente permanente del Consiglio europeo – può e deve essere contrastata. Ma, c’è un ma.
Per quanto capziose e superabili possano rivelarsi le critiche alla politica estera italiana e del governo Renzi (così come dei precedenti), negare che il nostro Paese abbia molto (troppo?) ammiccato a zar Putin e che sulla vicenda cruciale dell’Ucraina abbia avuto una posizione persino più esposta rispetto alla Germania, questo francamente non lo si può negare.
La verità è che l’Italia – come l’Europa – è circondata da un numero ormai insostenibile di crisi regionali e che ciascuna nazione cerca di affrontarle dal punto di vista del proprio interesse. Nulla di scandaloso. Il punto però è essere consapevoli che la politica estera non è altra cosa dalla politica interna. L’identità del Paese sullo scacchiere internazionale ed il suo sistema di alleanze non è argomento da geometrie variabili a seconda delle convenienze temporanee.
L’ambizione di conquistare la leadership europea della Pesc va coltivata, senza tentennamenti. Sapendo però che le relazioni di Roma con Mosca, Washington, Berlino, Tripoli, Tel Aviv e così via non sono un tema ad appannaggio (nel bene e nel male) della sola Mogherini ma riguardano tutto il governo, tutto il Paese.