La politica estera italiana necessita di una direttrice chiara. A sostenerlo è l’analisi di molti osservatori, che interpretano così il tira e molla europeo sulla nomina della titolare della Farnesina, Federica Mogherini, ad Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione.
Il motivo – crede l’ambasciatore Guido Lenzi – risiede nel fatto che dopo anni di relativa tranquillità anche la diplomazia italiana viva una fase di assestamento. In una conversazione con Formiche.net, la seconda di una serie di interviste sul tema, il già direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e Rappresentante Permanente presso l’Osce a Vienna spiega come sta cambiando la proiezione internazionale dell’Italia.
Ambasciatore, dove va la politica estera italiana?
La nostra è sempre stata una politica estera con dei chiari punti di riferimento: Europa e Nato. Due organismi che sono in fase di assestamento. Questo fa sì che da un lato l’Italia abbia perso i suoi tradizionali “attracchi”, dall’altro che proprio per questo possa definire una strategia che le permetta di perseguire i suoi interessi in un modo più autonomo del passato. Il semestre di presidenza del Consiglio europeo è una buona occasione per focalizzare priorità e rapporti. Ci sono una serie di problemi da affrontare e l’Italia dovrà supplire in questa fase a una mancanza di interlocuzione dettata dal fatto che dopo la fine del mandato della Commissione, i vertici europei non sono ancora chiaramente delineati.
Ritengo prematuro invece esprimere un giudizio sul caso della Mogherini. Solo dopo che verrà decisa la composizione dell’intera Commissione si potrà scegliere l’Alto rappresentante più adatto.
Come valuta la situazione in Libia vista da Roma e in un’ottica internazionale?
Si suol dire che la Libia sia stata sfasciata dall’intervento europeo, ma in realtà era già allo sbando prima della caduta di Muammar Gheddafi, che non riusciva già più a tenere insieme il Paese. La Libia in fondo non è mai stata una nazione. Non so se l’Onu in quanto tale verrà mai coinvolta. L’Occidente sta provando a contribuire alla tenuta di Tripoli, ma c’è forte riluttanza ad occuparsi di questo problema, sebbene sia chiaro che la responsabilità morale e operativa di una pacificazione della Libia non possa che essere di Usa ed Europa.
Un altro focolaio preoccupante è quello ucraino, nel quale secondo il Dipartimento di Stato americano ci sarebbero riscontri documentali di una destabilizzazione ad opera della Russia. Per questo il generale Carlo Jean ritiene che le sanzioni siano un passo obbligato per riportare Putin alla ragione.
Il caso ucraino è particolare. In parte si imputa all’Europa di non prendere decisioni in politica estera, contestualmente la si condanna dicendo che provoca la Russia aprendo a un accordo di associazione con Kiev. Le sanzioni comminate non sono certo risolutive, ma rappresentano una manifestazione di disapprovazione dell’operato di Mosca, che continua a fare ostruzionismo impedendo che molte delle crisi nello spazio ex sovietico possano essere risolte. Bisogna continuare a far pressione sulla Russia di Putin perché si decida ad accettare con l’Europa delle formule collaborative per risolvere le crisi tutt’ora aperte, che Mosca alimenta e delle quali si avvale per tenere in ostaggio la ricomposizione continentale.