Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Le mosse più recenti dell’Arabia Saudita mirano a colpire il Qatar, emirato legato, forse per un ricatto o per un contratto del tipo “vi finanziamo ma state fuori dai piedi”, in collegamento con la Turchia, altro nemico giurato, da vecchio amico e alleato, di Riyadh.
Erdogan e il suo AKP (il Partito “Giustizia e Sviluppo” ) sono ormai espliciti sostenitori della Fratellanza Musulmana, e quindi del suo braccio armato a Gaza e nei Territori, Hamas.
Da “zero problemi con i vicini” , secondo la vecchia espressione del ministro degli esteri Ahmed Davutoglu, a una politica di destabilizzazione del Grande Medio Oriente tramite un gruppo designato ufficialmente come “terrorista” dall’ONU.
E stiamo parlando della seconda forza armata della NATO dopo gli USA e del dente strategico, la Turchia, contro la penetrazione sovietica in Asia Centrale e nel Mediterraneo, negli anni della guerra fredda.
Oggi, invece, Ankara è il ventre molle della Alleanza Atlantica e il cavallo di Troia della islamizzazione, radicale e non (ma l’una presuppone l’altra) di tutto il Medio Oriente e, in un prossimo futuro, dell’Europa Occidentale.
Khaled Meshaal, capo dell’Ufficio Politico di Hamas, e l’ex-presidente egiziano Morsi, due figure di spicco della Fratellanza Musulmana, sono stati invitati da Erdogan al congresso generale dell’AKP tenutosi nel settembre 2012, e probabilmente Erdogan tiene unito il suo partito con il mito islamista e jihadista, che potrebbe, nella sua mente, essere il veicolo di una nuova egemonia turca nell’area, come al tempo del Califfato ottomano.
Era accaduta l’undici settembre 1683 la sconfitta definitiva degli ottomani durante l’assedio di Vienna, sconfitta dovuta ai cavalieri polacchi, ed è l’undici settembre del 2001, con la distruzione delle Twin Towers che ricomincia il jihad antioccidentale. Coincidenza? No, perché nella psicologia islamista tutta la storia è un eterno presente.
L’Egitto dopo il golpe bianco di Al Sisi ha declassato la Turchia, e l’Iran sostiene in Siria gruppi contrari a quelli che vengono finanziati da Ankara.
La Turchia dell’AKP è il principale centro di “lavaggio” delle finanze di Hamas, e il mito islamista accende oggi le masse turche, con l’AKP che favorisce la jihadizzazione del proprio popolo.
L’idea di Erdogan è quella di espandere l’attuale Turchia fino a farle raggiungere la vecchia area di influenza dell’Impero Ottomano.
E’ per questo che la famigerata fondazione IHH, quella della nave diretta a Gaza per portare aiuti ad Hamas, la Freedom Flotilla bloccata dalle forza di Israele, e che risulta una copertura di Hamas-Turchia, oggi finanzia la Università Islamica di Tirana e molte altre organizzazioni culturali nell’antico perimetro del sistema ottomano.
E non bisogna dimenticare che il Procuratore dello Stato turco, nel 2002, aveva chiesto alla Corte Costituzionale di Ankara di chiudere il partito AKP, mentre anche nel 2008 il procuratore capo di Ankara aveva chiesto alla Corte Suprema turca di chiudere l’AKP, per l’asserito “rifiuto di separare la politica e la religione”, che è un obbligo costituzionale in quel Paese.
E questo sarebbe il Pillar della NATO nell’area più carda e destabilizzata del globo, oggi? Occorrerà ripensare anche il ruolo e la partecipazione turca nell’Alleanza.
L’Ankara di Erdogan e del suo partito, che si vende come “islam democratico”, ha favorito una colossale oiperazione coperta con l’Iran, la oil for gold, che ha fatto guadagnare, tramite la piazza finanziaria turca 13 miliardi di usd a Teheran, proprio mentre era massima la tensione tra Iran e l’Occidente a causa del suo programma nucleare militare-civile.
Saleh Aruri, uno dei principali dirigenti di Hamas, risiede stabilmente ad Ankara, e risulta essere il responsabile delle operazioni finanziarie del gruppo terroristico.
Il governo di Erdogan ha spedito poi ben 47 tonnellate di armamenti ai ribelli siriani, mentre le reclute di Al Qaeda sono tenute nelle safe houses nella Turchia orientale e addestrate nelle provincie turche di Karaman, Osmaniye, Sanliurfa.
E, ripetiamo, si tratta di un importante membro della NATO.
Probabilmente il legame tra Turchia e denaro sporco da e verso Hamas è implicito nello stretto rapporto che lega Erdogan all’uomo d’affari saudita Abdullah Ezzedine Al Qadi, un personaggio fortemente sanzionato per le sue operazioni economiche dalle Nazioni Unite.
Ha probabilmente finanziato parte delle operazioni dell’Undici Settembre di Al Qaeda.
Il già citato Al Aruri è, si dice da fonti sicure, il capo delle operazioni di Hamas nella West Bank, ed ha gestito il finanziamento ufficiale e governativo turco di 300 milioni di usd del dicembre 2011.
Il “braccio civile” di alcuni ambienti dell’AKP. La già citata fondazione IHH, sostiene i miliziani sunniti operanti in Siria, compresi quelli, come Ahrar al Shan e l’ISIS, connessi o filiazioni di Al Qaeda.
Al -Suri, anch’egli residente pro tempore in Turchia, è il rappresentante ufficiale di Al Qaeda in Siria e riceve numerosi finanziamenti da ricchi sostenitori di Al Qaeda operanti in Qatar, e risiamo al Qatar, sede di fatto della “politica estera” di Hamas.
La Turchia di Erdogan è ormai, insieme al governo qatarino, il maggior finanziatore di Hamas, che legge sia come struttura militare dell’area di origine comune tra Hamas stessa e l’AKP, i Fratelli Musulmani, e come braccio armato esterno per raggiungere il suo obiettivo di Grand Strategy, il Grande Califfato, quello che fu sconfitto alla periferia di Vienna l’Undici Settembre.
E Koç, tra i maggiori businessmen turchi, ha pubblicamente accusato Erdogan di possedere una fortuna personale di oltre un miliardo di dollari americani.
Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa