Un “regime ricattatorio” che si scontra contro un altro, quello british, dove impera la certezza del diritto prima che le aliquote, tout court, più basse.
La differenza fiscale tra Italia e Inghilterra, alla base della fuga nella City di moltissime aziende e di realtà imprenditoriali, è sostanziamente in questo assunto, dice a Formiche.net Fabio Scacciavillani, Chief Economist del Fondo d’investimenti dell’Oman.
Scacciavillani ragiona sui veri punti di rottura che potrebbero essere proposti al nostro sistema fiscale, nella consapevolezza che però questo governo non ci riuscirà.
ESEMPIO
“Per due anni non sono riuscito a far sdoganare una motocicletta e l’ho dovuta tenere in un deposito in Germania. Avviare quel tipo di procedura qui purtroppo significa entrare in un mondo kafkiano. In Inghilterra invece la moto è stata portata ad un’agenzia preposta e in un pomeriggio, senza nemmeno un secondo di fila, me l’hanno sdoganata. In Italia servirebbero sei mesi”. D’altronde, al di là della Manica, così come dimostrato da un report del governo inglese, l’attrattività è il primo obiettivo dell’esecutivo.
FISCO ITALIANO
Oggi come oggi il fisco italiano, a parte l’esosità, consiste “solo nelle ispezioni dell’Agenzia delle Entrate, che fa soldi sul fatto che nel momento in cui contesta un qualcosa, il controllato che va in giudizio paga un terzo di ciò che gli è chiesto. Per cui potrebbero chiedergli anche quattro volte il dovuto e lui pagherebbe solo un terzo. Ma nel frattempo tra spese legali e conti bloccati, in caso di vittoria nessuno gli risarcisce nulla. Si tratta di un regime ricattatorio”.
RIFORME? NO, GRAZIE
Il problema delle riforme in Italia – secondo Scacciavillani – è dato dal blocco sociale che le sostiene, “e nel nostro Paese è centrale nell’assegnare ad uno schieramento piuttosto che ad un altro la vittoria”. Quel blocco sociale “è fatto di parassiti, pensionati, lavoratori dipendenti più o meno sindacalizzati”. Un blocco che presenta una “natura parassitaria” nei confronti della spesa pubblica, “un fungo che si nutre” di risorse pubbliche. Inoltre dal punto di vista fiscale non è troppo tartassato, né subisce “vessazioni come chi ha la partita iva”. Quel blocco è naturalmente “diffidente” se gli si propone una riforma del fisco, in quando i benefici “sarebbero minimi e i danni potenziali tantissimi”.
MANTRA
Un blocco che si nutre del mantra secondo cui il vero problema italiano è l’evasione fiscale e che vede il tentativo di riforma come “un attentato ai propri privilegi”. Per cui l’obiettivo è come estrarre ancora più risorse dal sistema, non rendendosi conto che “se già la tassazione sulle imprese sfiora il 60%, ma dove sarà mai questa evasione?”
XX SETTEMBRE
Su un’eventuale riforma del fisco italiano sul modello inglese, Scacciavillani si dice molto scettico che l’attuale esecutivo possa riuscirvi, “l’unica persona più seria è il ministro dell’economia Padoan, ma non ha forza politica in quanto un tecnico indicato dal Capo dello Stato perché capace di rapportarsi ai partner internazionali, ma sprovvisto di un blocco partitico” nonostante sia uomo legato a Massimo D’Alema.
INVESTIRE IN ITALIA
In Italia al momento non è ipotizzabile una riforma del sistema fiscale che attiri nuovi investitori, “da noi non vengono perché non presentiamo vantaggi comparati”. Qualcuno può acquistare l’esistente, come fatto da Wolksvagen con Lamborghini, in quanto sono “competenze che non si creano dal nulla” e che stimolano gli appetiti. Una soluzione? “Modificare il fisco con una corporate tax del 10-15%, quella sarebbe una mossa che farebbe apparire l’Italia sullo schermo radar di investitori desiderosi di posizionarsi”. Ma per farlo il problema non è dato tanto dalla riforma fiscale in sé quanto dall’abbattimento delle spese, che “rappresenta la chiave di volta per tutto il resto”.
SPESA
La spesa pubblica oggi “è il criterio che cancella tutto il resto”. Si tratta di un nodo non solo semplicememnte finanziario ma molto più profondo, in quanto tocca il “come ridefinire il perimetro e le funzioni dello Stato”. Oggi, a destra e a sinistra, “non vedo un consenso politico per procedervi”. Da quel punto di partenza in seguito si potrebbe “iniziare a ragionare su una tassazione che riguardi i consumi piuttosto che i redditi, o una patrimoniale che contempli il taglio dell’Irpef, o sostituire l‘Irap con qualcos’altro: solo allora quel mix diventerebbe un argomento su cui iniziare a discutere di finanza pubblica e di efficienza del sistema di tassazione”.
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