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Ecco la potenza di fuoco dei fondi sovrani asiatici

Numeri, fondi, acquisizioni e operazioni del Dragone di Pechino: quanta potenza di fuoco hanno i fondi cinesi? Su quali binari si muovono, su quante risorse possono contare e su quali prospettive globali, a questo punto, stanno ragionando? Un report dal titolo “The Great Reallocation- Sovereign Wealth Fund-Annual Report 2013” di Bernardo Bortolotti (SIL, Università Bocconi, and Università di Torino), Veljko Fotak (SIL, Università Bocconi, and University at Buffalo) e Laura Pellizzola (SIL, Università Bocconi, and Fondazione Eni Enrico Mattei) prova a dare qualche risposta.

STATO FIDUCIARIO
Secondo Bortolotti dopo la massiccia ondata di nazionalizzazioni e di investimenti pubblici nel dopoguerra, i governi di ogni colore hanno sperimentato la scarsa qualità dei prodotti e dei servizi forniti dalle imprese di proprietà dello Stato. Per cui, con la reputazione di manager gravemente minata, i governi hanno lanciato un’ondata globale di sell-off, e la privatizzazione è diventata uno strumento legittimo per governare tutto il mondo. “Ma mentre il rollback dell’attività economica statale ha continuato a ritmo sostenuto in particolare nelle economie sviluppate, una tendenza opposta ha iniziato ad emergere”: il massiccio tentativo di accumulare beni da parte dei fondi sovrani (SWF) e altri state-sponsored. Un progressivo incremento giunto sino ai 4.000 miliardi dollari nel solo 2013.

REPORT
Il 2013 è stato un anno cruciale per i fondi sovrani. Gli investimenti hanno accusato uno stop: 19 fondi sovrani hanno completato 175 offerte con un valore totale riferito pubblicamente di 50,1 miliardi dollari, in calo del 35% nel numero di transazioni, e con una diminuzione del 15% per cento rispetto a dodici mesi prima.

BRICS
La quota dei cosiddetti Paesi Brics negli investimenti si è ridotto al 21% pari a 10,7 miliardi dollari, con la Cina in calo, scesa a 620 milioni dollari da 4,6 miliardi dollari. Russia e India sono stati i principali beneficiari della riassegnazione, con 5,4 mld e 2,8 mld. La cooperazione tra gli investitori è in crescita, sotto forma di joint-venture, co-investimenti e partenariati che coinvolgano investitori privati. ​

CINA
Si tratta del Paese protagonista di un terzo della crescita globale, ma il cui sistema lowcost – secondo il report – si sta indebolendo a causa dell’aumento dei salari e dell’apprezzamento della moneta. Un processo che pone un freno alle esportazioni cinesi, che rallentano considerevolmente nel 2013. Una più competitiva fornitura di energia e una minore crescita nei mercati dei paesi emergenti, incidono direttamente sugli investimenti dei fondi sovrani, ovvero con ricavi più bassi dei prodotti o come un surplus commerciale che fluisce nelle casse delle banche centrali sotto forma di riserve estere.

STRATEGIE
Un numero crescente di fondi sovrani sta ripensando il modello tradizionale basato sui propri asset manager. Con il risultato che tali realtà sono sempre più attive nella gestione diretta dei loro portafogli attraverso la creazione di pool interni. Ragion per cui più fondi sovrani devono anche poter contare su una serie di uffici satellite operativi in centri finanziari internazionali: ecco oggettivizzata la strategia per acquisire competenze altamente specializzate e attivare su scala globale gli effetti della rete locale.

PERSONALE
Il personale congiunto dei tre maggiori fondi cinesi, Norges Bank Investment Management, China Investment Corporation e Abu Dhabi Investment Authority, ammonta a circa 3.000 persone con un patrimonio complessivo in gestione superiore a 2.000 miliardi dollari. Un’inezia rispetto ai 20mila dipendenti di un soggetto istituzionale come Fidelity, che gestisce 1.500 miliardi dollari. Lo scenario prevede che la diversificazione continuerà ad essere una forza trainante.

DOPPIO PASSO
Altro elmetto significativo il doppio passo di talune operazioni, come l’acquisizione da parte della Singapore Investment Corporation (GIC), del 5,6% della Banca delle Filippine, che segna una rilevanza a medio-lungo termine del fondo come una carta regionale da giocare nell’Asia meridionale. Inoltre nel 2013, CIC ha fatto affidamento sul suo braccio interno, per rafforzare tutti i “Big Four” di proprietà statale. Lo scopo dichiarato è dare sostegno alle infrastrutture nazionali. Per cui il fondo ha così investito 439 milioni dollari in nove iniezioni di capitale che coinvolgono l’Industrial and Commercial Bank of China (ICBC), la Bank of China, l’Agricoltura Bank of China e la China Construction Bank (CCB).

TEMASEK
Temasek è il secondo più grande fondo di Singapore, che ha seguito tale scia acquistando una quota di minoranza in ICBC in due tranche del valore di 273 milioni dollari. Temasek è il più grande investitore straniero presente in banche cinesi, ed è costante nel costruire il portafoglio piuttosto che restringerlo. Una tale sovraesposizione nelle banche cinesi potrebbe essere rischiosa: se la crescita in Cina continuerà a rallentare, il settore finanziario sarà il primo a subire conseguenze. E ciò potrebbe seriamente intaccare il portafoglio.

GLOBAL STRATEGY
Tuttavia le banche cinesi, a fronte di condizioni di progressivo deterioramento interno, stanno accelerando l’espansione globale della domanda per l’offshore finanziaria accanto alla crescente presenza delle imprese cinesi nei mercati esteri. Nel 2013 CCB, ha acquisito il 72% del capitale del Banco Industrial e Comercial, una banca commerciale primaria in Brasile, e ha anche partecipato con 100 milioni di dollari al consorzio che riunisce i fondi sovrani della VTB russa. La Construction Bank oggi dispone di 17 filiali con un patrimonio di circa 120 miliardi dollari in 15 nazioni.

twitter@FDepalo


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