Le notizie dell’ultima ora sono già vecchie. È una rincorsa al secondo. E noi non possiamo svegliarci al mattino e ricordarci che in Irak si rischia il genocidio per mano del califfato Isis solo perché, mentre dormivamo, gli Usa hanno annunciato un loro impegno mirato nel paese. Non possiamo ricordarci della crisi in Siria solo quando scompaiono due giovanissime nostre connazionali, o dei disordini in Libia una volta avvenuta la conquista delle basi militari da parte dei gruppi jihadisti e gli altri evacuano le ambasciate.
A giugno, Obama non aveva escluso la disponibilità degli Stati Uniti ad intraprendere un’azione militare mirata in Irak, se e quando la situazione lo avrebbe richiesto. Il via libera di questa notte ai raid aerei contro i militanti dell’Isis e il lancio di aiuti umanitari alle popolazioni in fuga dimostrano la coerenza delle scelte del presidente americano. Non possiamo, tuttavia, continuare a farci cullare dalla lullaby dell’appoggio degli alleati d’oltreoceano che da tempo avvertono i partner europei del loro ‘leading from behind’.
Per quanto riguarda un ipotetico impegno della NATO nella zona, è bene ricordare che anche l’operazione in Irak non è stata a suo tempo una missione di combattimento, ma di formazione e mentoring. L’obiettivo era quello di sviluppare una partnership a lungo termine dell’Alleanza con l’Irak. In un tale disordine globale dell’area, anche una tale missione potrebbe non essere più sufficiente.
Prima di invocare la stessa Alleanza Atlantica, è necessario che i paesi europei, che per primi risentono in termini energetici, migratori e terroristici delle crisi nelle aree vicine, prendano seriamente coscienza di quanto sta avvenendo lungo le coste sud del Mediterraneo.
L’Europa deve svegliarsi dal sonno ‘diplomatico’ a cui si sta abbandonando.
Come può questo sonno non esser interrotto dalle bombe che esplodono a Gaza, dalle grida di dolore dei perseguitati religiosi in Irak, dal dramma umanitario che si consuma silente in Siria, dai disordini che arrivano fino in Libia?