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Vogliamo parlare di come modificare (bene) l’articolo 18?

È proprio vero: il volto è lo specchio dell’anima. Per rendersene conto bastava osservare Luigi Zanda quando ha annunciato il voto favorevole dei senatori del Pd all’abominevole legge Boschi. Zanda non è un ragazzotto che ha ripassato diritto costituzionale sul Bignami. Ha un lungo cursus honorum all’interno delle istituzioni democratiche. Ma l’8 agosto lo abbiamo visto più accigliato e tenebroso del solito, perché costretto ad arrampicarsi sugli specchi per sostenere che l’Unione europea avrebbe apprezzato la “riforma” del Senato, essendo l’Italia il solo Paese ad avere ancora un ordinamento a bicameralismo perfetto. Che fosse una malattia o un virus di cui non ci siamo accorti per quasi 70 anni?

Il governo Renzi-Tambroni ha fatto la figura di un attore (ovviamente comico) che sbaglia ad entrare in scena e si mette a recitare la sua parte fuori tempo e luogo, rispetto al copione. Che cosa si sarebbe aspettata la comunità europea ed internazionale dal governo italiano negli stessi giorni in cui i dati dell’Istat confermavano che l’economia italiano non riesce ad uscire dalla palude della recessione? Di vederlo all’opera nel promuovere lo sviluppo e il lavoro. E non a bisticciare nel tentativo maldestro di sfasciare le istituzioni.

Mettiamo il caso che, invece del disegno di legge Boschi (che poteva slittare all’autunno), l’esecutivo avesse chiesto di calendarizzare in Aula, prima della pausa estiva, il Jobs Act del ministro Giuliano Poletti, dopo aver sciolto – sia pure nei termini di principio propri una norma di delega – i nodi del codice del lavoro semplificato e, soprattutto, della disciplina del licenziamento individuale. Mettiamo pure che l’8 agosto fosse stato votato quel provvedimento. Se vi riesce, allora, sfogliate con la fantasia i titoli dei quotidiani delle capitali straniere del 9 agosto: “Cade con l’articolo 18 l’ultimo Muro di Berlino”; “Renzi apre le porte dell’Italia al mercato globale”; “Il giovane premier demolisce un tabù della vecchia sinistra”. E via di questo passo, magari con qualche esagerazione.

Corre voce che dell’articolo 18 si parlerà in autunno. Ma già le anticipazioni di questi giorni non sono condivisibili. Limitarsi ad abolire la reintegra durante i primi tre anni del rapporto in pratica consisterebbe nel corrispondente allungamento del periodo di prova: una scelta che non ha molto senso. Poi il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti finirebbe su di un binario morto, perché le imprese preferirebbero sempre avvalersi del contratto a termine “made in Poletti”, molto meno a rischio di contenzioso e più pratico. Un’altra proposta discutibile è quella di superare l’articolo 18 limitatamente ai nuovi assunti. Se innovazione deve esserci essa deve valere – come sempre in passato – per tutti.

Walter Veltroni alla FIGC? Perché no? E’ già stato alla FGCI.

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