Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’autore, l’editoriale di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e di Mf/Milano Finanza
Dopo gli anni devastanti di Silvio Berlusconi (che è stato il peggior comunicatore di se stesso all’estero che, oggi, ai tempi della globalizzazione, è l’ambito dove si costruisce la fortuna di un Paese) e dopo le meteore indecifrabili di Mario Monti e di Enrico Letta, i media internazionali sono stati presi favorevolmente in contropiede da Matteo Renzi, un ragazzo di provincia che portava a termine, con pochissime resistenze e disponendo di un capitale di solo qualche cents, un’opa su ciò che restava del più grande partito comunista europeo.
L’ascesa di Renzi era ancor più sorprendente, agli occhi degli osservatori stranieri, per il fatto che il suo astro saliva, mentre quello di tutti gli altri grandi leader europei, con la sola eccezione della Merkel, scendevano a rotta di collo. Hollande, eletto tre anni prima presidente della Francia, gode adesso di una popolarità del 17%, è cioè raso terra. Zapatero, in Spagna, sta stringendo un pugno di mosche ed è stato sostituito, al vertice del partito socialista spagnolo, da un giovane che dice di ispirarsi a Renzi. Cameron, nel Regno Unito, è già certo che non sarà rieletto e,nel frattempo,corre sul rullo,cioè fa finta di andare avanti mentre, in effetti sta fermo, incerto su tutto.
Domenica scorsa sul Tg delle 20 di TF1 (il più ascoltato Tg, sul più importante canale francese) è andato in onda un lungo servizio dedicato all’Italia con il quale,in vista del dato relativo alla crescita del pil francese, che dovrà essere reso noto domani e che il TF1 si attende sia sullo zero per cento, si è spiegato, fin troppo positivamente, ai francesi che “invece”, in Italia, il governo Renzi sta facendo questo e quest’altro per risanare il Paese.
Un taglio di questo genere stupisce profondamente chi ha consuetudine con l’inguaribile prevenzione dei media francesi rispetto a tutto ciò che succede in Italia (e che, con il bunga bunga di Berlusconi, aveva raggiunto un livello parossistico: “Paris Match”, ad esempio, aveva fatto un supplemento di 22 pagine con, in una doppia pagina, la foto panoramica del condominio che ospitava le olgettive, ognuna delle quali veniva indicata con una freccia che, partendo dal loro volto, segnalava anche l’appartamento, pagato dal Cavaliere, che esse stavano occupando).
Anche l’articolo del Financial Times, FT, (che poi era di due colonne!) titolato “The end of Renzi’s Italian honeymoon” (la fine della luna di miele italiana di Renzi) registrava un dato di fatto inevitabile ma, cosa che i politici italiani esultanti non hanno rilevato, diceva anche che “la colpa della recessione italiana non è di Renzi” ma è dovuta “alla inadeguatezza dei predecessori”. Cioè di quelli che oggi esultano per il presunto schiaffo del FT al governo Renzi. Inoltre, nel pur brevissimo pezzo, il FT rilevava che “Renzi non può salvare l’Italia da solo” ma ha bisogno “dell’aiuto europeo”, non, si badi bene, in termini di soccorso o di elemosina, ma bensì cambiando le “risposte insufficienti o i rimedi sbagliati sinora adottati dalla Commissione europea e della Bce”.
L’eliminazione del Senato con il voto di coloro che dovevano suicidarsi (i senatori) è stata la prima prodezza legislativa di Renzi che non trova l’equivalente in tutta la storia italiana dal dopoguerra ad oggi. Certo, il Senato che è stata approvato,è stortignaccolo. Avrei preferito che fosse stato abolito. Ma il dato politico rilevante e strategico è che Renzi, postosi l’obiettivo della sua riforma, lo ha raggiunto, ovviamente per via democratica, muovendosi con più accortezza dei suoi antagonisti che sono annidati soprattutto dentro il suo partito.
Un blitz di questo genere è ancor più rilevante in un paese dove Aldo Moro suggeriva che, se un provvedimento è urgente, basta mettere il suo fascicolo in un cassetto e, dopo sei mesi, riportandolo sulla scrivania, ci si accorge che, o il problema è scomparso, o si è risolto da solo. Basterebbe anche ricordare che, senza scherzare, Giulio Andreotti, disse a un industriale importante che gli sollecitava un provvedimento, che nessun uomo politico, indipendentemente dalla sua caratura, poteva assicurargli l’approvazione di alcunché mentre qualsiasi peone poteva bloccare in parlamento qualsiasi legge.
Del resto, per incredibile che lo si possa pensare, questo sistema è sopravvissuto anche fino a Renzi, visto che i governi Monti e Letta avevano approvato decine di decreti urgenti per dare fiato all’economia e nessuno si era accorto che, a distanza anche di un paio d’anni, non erano stati emanati i relativi decreti di attuazione. Cioè erano rimasti carta straccia. Fra il disinteresse di tutti. Umbelievable, direbbe FT.