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Tutte le novità per i Comuni dal 2015

Dopo la sanità con i bilanci costantemente in rosso, in parte ripianati dalle Finanziarie che si sono succedute e che hanno prodotto un debito consolidato di oltre 70 Mld di euro – cui si è data una parziale soluzione “commissariale” con la L. 311/2004, con finanziamenti a fondo perduto nel 2007 per 3 Mld di euro e mutui agevolati trentennali nel 2009 per 9.1 Mld di euro, sino ad arrivare all’utilizzo dei fondi FAS (così come avvenuto, per esempio, in Calabria per circa 700 mln di euro) distraendoli dal loro peculiare utilizzo di colmare i gap strutturali delle aree sottoutilizzate – sono emersi due fenomeni che hanno palesato ulteriormente la perenne debolezza dei conti pubblici.

PROVVEDIMENTO SALVA-IMPRESE

Il primo, che ha inciso in termini di esplosione del debito pubblico comunitario, è venuto fuori a seguito del provvedimento c.d. “salva-imprese” (D.L. n. 35/2013), che ha assicurato la liquidità al sistema autonomistico per soddisfare i crediti più datati dei fornitori. Ciò è accaduto perché il debito “mercantile” era stato mantenuto escluso nella determinazione dal saldo di quello UE, facendo ricorso ad uno escamotage dei Governi precedenti consentito dal Trattato di Maastricht, più esattamente dal “Manuale del SEC95 sul disavanzo e sul debito pubblico” e dal Regolamento CE n. 3605/93 sulla procedura dei disavanzi eccessivi. Una “furbizia” tecnica che è emersa in tutto il suo spessore con il perfezionamento da parte degli enti territoriali dei contratti di mutuo trentennale conclusi con la C.DD.PP. attraverso i quali si è loro garantita la pronta liquidità necessaria. Ad un medesimo risultato si perverrà con gli effetti finanziari derivanti dal D.L. 66/2014, relativamente ai debiti commerciali maturati al 31 dicembre 2013. Su tali anticipazioni finanziarie, diffusamente utilizzate, direttamente e per il tramite degli enti da essi dipendenti (es. i sistemi sanitari regionali e le società partecipate), si sono prodotte le più fantasiose iscrizioni in bilancio, cui ha dovuto dare soluzione la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti.

PROBLEMI CRONICI DEI COMUNI

L’altro, che ha scoperchiato la pentola dei problemi finanziari cronici dei Comuni, è emerso in (quasi) tutta la sua dimensione a seguito della conversione del D.L. n. 174/2012 che ha prodotto, tra l’altro, tre novità di rilievo: a) la nuova disciplina del sistema dei controlli interni; b) l’implementazione di quelli esterni; c) l’introduzione a regime del c.d. predissesto. Invero, si è verificato un terzo fenomeno, ancorché non emerso in tutta la sua reale portata “contabile”. Riguarda il disordine dei conti e le irregolarità nascosti nelle pieghe dei bilanci delle Regioni (anche qui la Calabria in testa), che – tra residui attivi “inesistenti” mantenuti tra le attività, debiti contratti ancora da riconoscere, indebite percezioni di somme del personale, soprattutto dirigente – farebbero inorridire i catechisti dell’economia pubblica. Una situazione che sta via via emergendo a cura degli 007 della Ragioneria generale dello Stato che hanno fino ad oggi trovato di tutto e di più nelle cinque Regioni ispezionate (Lazio, Liguria, Marche, Abruzzo e Calabria), con le ovvie e dovute differenziazioni. Un esito che ha messo in crisi la continuità esistenziale dell’ente Regione sotto il profilo della sua stessa utilità istituzionale, certamente da rivedere, attese anche le azioni giudiziarie promosse a carico di tutti i gruppi consiliari, nessuno escluso, per le spese impropriamente effettuate e altrettanto impropriamente rendicontate.

PRECARIETÀ DIFFUSA

I giudizi di parifica dei bilanci regionali (anche qui la Calabria è da primato) e le relazioni annuali della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali stanno facendo il resto. Quanto a queste ultime, mettono in evidenza lo stato di precarietà dei conti della Repubblica, per la parte che loro compete. La rinnovata finanza pubblica locale, incentrata sulla contrazione dei trasferimenti, ha prodotto alle politiche municipali pesanti ricadute, primo fra tutte quella di intervenire consistentemente sulla spesa, comprensibile in relazione a quella corrente molto meno per quella destinata agli investimenti. Ciò in quanto quest’ultima è funzionale a rendere più produttivo il sistema delle istituzioni territoriali, quanto a qualità e quantità dei servizi pubblici da rendere alla collettività. Una siffatta opzione ha determinato – da una parte – una opportuna contrazione della spesa corrente, ancorché nettamente al di sotto di ciò che si sarebbe potuto fare a regime e non si è fatto, e – dall’altra – il concretizzarsi di effetti segnatamente depressivi, naturalmente conseguenti all’assottigliamento degli investimenti pubblici produttivi.

TAGLI ALLA SPESA

In relazione alla politica dei tagli della spesa, è appena il caso di rilevare che essa va condotta per assicurare sensibili risparmi all’ordinario funzionamento della PA locale. Ciò in quanto – con l’esaurimento dell’espandersi della pressione fiscale, che ha oramai raggiunto limiti insopportabili, tali da non renderla più garante del conseguimento di maggiori entrate – il taglio intelligente della spesa corrente rappresenta l’unico strumento attraverso il quale assicurare risorse da destinare alla quella c.d. produttiva, attraverso un processo di riqualificazione dell’attività riservata agli organi decisori. Una esigenza funzionale al rispetto delle regole generali insite nel Patto di stabilità e al conseguimento degli obiettivi nazionali di finanza pubblica che pretendono il generale ossequio del neointrodotto principio del concorso obbligatorio del sistema autonomistico all’equilibrio del bilancio consolidato dello Stato.

MAGGIORE ATTENZIONE ALLE FINANZE LOCALI

In ragione di un siffatto obbligo costituzionalmente sancito si sta sviluppando nel Paese una rinnovata attenzione alle finanze locali da parte dei sindaci, in passato alquanto distratti – specie nel segmento geografico coincidente con quello che suole definirsi il Mezzogiorno – dall’esercitare politiche di austerità tendenti al controllo della spesa pubblica municipale, considerata l’abitudine di privilegiare un eccessivo utilizzo della spesa “di funzionamento” come strumento per attrarre il consenso elettorale. Una moda che fortunatamente sta divenendo desueta per la progressiva indisponibilità “a valle” dei trasferimenti statali e a causa della maggiore tempestività dei controlli esterni esercitati dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti chiamate ad essere, al riguardo, più puntuali e incisive dalla disciplina in materia del c.d. dissesto guidato.

NUOVI STRUMENTI

L’introduzione a regime di due ulteriori strumenti, ancorché di diversa specificità perché tendenti – l’uno – a determinare informazioni attendibili e uniformemente rappresentate dei conti pubblici e – l’altro – a rendere disponibili un intervento di lungo termine per riequilibrare i loro bilanci, arricchiranno le chance degli enti locali per “mettersi in regola”.

Quanto al primo, sarà garantito dall’introduzione a regime, previsto per il prossimo 1° gennaio 2015, del novellato sistema di contabilità sancito dal d.lgs. 118/2011 e successive modificazioni e integrazioni, ivi compresi i suoi provvedimenti applicativi, da ultimo perfezionati dal Consiglio dei Ministri nella seduta del l’8 agosto 2014 con l’approvazione del d.lgs. recante le “Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 118 del 2011 recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge n. 42 del 2009”. Un provvedimento che ha bloccato ogni discrimine attuativo, che in una prima fase sembrava privilegiare l’applicazione dell’introdotto sistema di “competenza rafforzata” in parte dal 2015 e in parte dall’esercizio finanziario successivo, disponendo uno start uguale per tutti più scandito nel tempo e caratterizzato dalla eterogeneità della documentazione rispetto a quella tradizionalmente prescritta in tema di tenuta della contabilità pubblica. Al riguardo, una novità assoluta è rappresentata dal trattamento dei residui, destinati ad essere espulsi dai relativi bilanci in assenza dei titoli giuridici relativi, quelli da verificarsi per il loro mantenimento a mente dell’art. 228, comma 3, del vigente TUEL. Un obbligo che comporterà una pulizia “straordinaria” nei bilanci degli enti locali (così come in quelli regionali) con conseguente produzione di consistenti disavanzi di amministrazione, tali da avere consigliato al legislatore la previsione normativa a che gli stessi possano essere ripianati nell’arco di un decennio con ratei annuali costanti.

DIRITTI E GARANZIE

Ciò allo scopo di evitare una morìa seriale dell’esigibilità dei diritti di cittadinanza, vista la diffusione e l’entità del fenomeno che affligge tutto il sistema autonomistico territoriale (anche qui la Calabria è la più colpita). Una soluzione che tuttavia comporterà per gli enti interessati dal fenomeno l’obbligo di istituire e, quindi, di accantonare in un “Fondo crediti di dubbia inesigibilità” le risorse necessarie, da determinarsi tenuto conto della dimensione delle previsioni di entrata, alla natura e all’andamento delle riscossioni nei cinque anni precedenti. Una garanzia che sarà dolorosa da perfezionare da parte di quei Comuni che hanno storicizzato un quantum percentuale di incasso reale nettamente al di sotto alle previsione, dal momento che gli stessi saranno tenuti a congelare rilevanti quote del loro bilancio. L’ibridismo – consistente nella contemporaneità dell’obbligo per il primo anno di mantenere vigenti i format dei vecchi bilanci seppure in funzione meramente conoscitiva – che caratterizzerà la fase di avvio è, ovviamente, da considerarsi un “pedaggio” necessario per garantire un corretto e globale avvio del rinnovato sistema di contabilità pubblica, che influenzerà anche le Regioni con l’insediamento, tra l’altro, del loro DEF a partire dal 2016. Una novità, questa, che rivoluzionerà il modus administrandi delle istituzioni pubbliche abituate a spendere nella realtà ciò che si presume di introitare, prescindendo da quanto si riesce ad incassare soprattutto in termini tributari.

UN AIUTO AGLI ENTI IN CRISI

Quanto al secondo strumento, esso fornisce una opzione aggiuntiva rispetto al risanamento triennale ex art. 193 TUEL, reso possibile agli enti locali in crisi di liquidità superabile nel detto periodo, attraverso il ricorso ad una procedura di riequilibrio pluriennale, della massima durata di dieci anni, assistita, all’occorrenza, dall’accesso ad un apposito Fondo di rotazione, senza oneri, in proporzione all’entità demografica della popolazione residente. Una soluzione offerta ai Comuni (che già registra in Calabria il record di accesso), recentemente implementata con la L. 68/2014, di conversione del D.L. 16/2014, che dovrà essere ben utilizzata e non già frequentata, così come si sta facendo, quale ultimo e disperato tentativo di riportare in bonis l’impossibile.

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